Maritè non morde_Veronica Tranfaglia
“Avevi l’aria di chi deve scalare una vetta, per la prima volta nella vita, senza avere il piccone da piantare nella roccia e senza sapere cosa trovare in cima
“Avevi l’aria di chi deve scalare una vetta, per la prima volta nella vita, senza avere il piccone da piantare nella roccia e senza sapere cosa trovare in cima
Sono lontani i dissacranti alter ego. Il gioco dell’ambiguità tra finzione e realtà, quello dello scambio tra vita e arte si sono presi una tregua.
Nudo, spoglio delle sue maschere seriali, Philip Roth in Patrimonio – Una storia vera, attraverso una prosa altrettanto spoglia e piana (talvolta anche brutale), ripercorre il calvario del padre colpito da un male incurabile, un tumore al cervello, accompagnandolo e accudendolo in ogni suo più intimo e drammatico istante.
“Leggo ancora parecchia storia e, va da sé, mi sono tenuto al corrente sui grandi eventi contemporanei alla mia vita: la caduta del Comunismo, la signora Thatcher, l’11 settembre, il riscaldamento globale.
Tredici incontri, diciotto ore di registrazione e sei taccuini fitti di appunti per arricchire l’elenco delle belle arti annoverandovi l’ottava: la truffa.
È l’arte che Carl Peter Lopiccolo, alias Dan Alighieri, Francis Petrarca, Johnny Boccaccio, amante di storia antica e di filosofia, e parte attiva di una dinastia di truffatori catanesi, racconta a Riccardo Maria Ricci, giornalista e ora biografo, incaricato da una casa editrice di scriverne la storia.
“Compito del grafico non è vendere fumo bensì dare forma ad un contenuto che sia condiviso ed eticamente corretto”. È quanto ripeteva Albe Steiner alla figlia Anna, curatrice della mostra Licalbe Steiner. Alle origini della grafica italiana che, dopo Milano e Firenze, approda a Reggio Emilia nei suggestivi locali della Sinagoga in via dell’Aquila.
In Tu non c’eri, breve racconto di Erri De Luca trasposto in un cortometraggio dalla regia di Cosimo Damiano Damato – empatico adattamento tra sceneggiatore e regista – , ci sono due uomini, un padre e un figlio. Del primo c’è un’ingombrante assenza, del secondo una presenza interlocutoria, ma decisa, che di quella mancanza racconta (senza chiederli) i danni. Il primo ha i tratti segnati da 25 anni di carcere per aver militato in una banda armata e la voce ieratica e quasi atona
“I suoi sogni sono pieni di figure che si sparpagliano al vento come foglie, sono pieni di anime che formano costellazioni, come le stelle che io non sopporto di vedere. (…) Ogni sei o sette giorni più o meno, la mattina, quando ci prepariamo per andare a letto e ci sottoponiamo alla stupefatta routine dell’inzaccherarci, del metterci in disordine (scompigliamo ogni sopracciglio, accarezzandolo contropelo con un dito), Tod ed io possiamo sentire il sogno che sta aspettando di manifestarsi, che raccoglie energie in qualche luogo,
Nato da una mostra fotografica, dal tratto più mondano dell’arteria romana – la Via Emilia – cui l’Undicesima Edizione di Fotografia Europea rendeva omaggio, Disco Emilia è un’istantanea di quella che Pier Vittorio Tondelli definì “Una grande città della notte”. La sua collocazione spazio-temporale si sviluppa lungo 150 chilometri della Statale 9, comprensivi tra Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna e Ferrara, negli anni Settanta e Ottanta, quando il sabato sera era febbrile ed eccitante più che mai.
“Dicono che non è facile essere un ruffiano. Be’, non lo è nemmeno essere un padrone di schiavi. Come i bambini, i cani, i dadi, i politici che si riempiono la bocca di promesse e a quanto pare anche le prostitute, gli schiavi non fanno quello che gli si dice. E quando il tuo servo nero ultraottantenne è in grado di svolgere al massimo un quarto d’ora di lavoro vero e proprio al giorno e gode come un matto a farsi punire,