27 Gennaio 2017

La Natura dell’Offesa

La freccia del tempo
di Martin Amis

 

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“I suoi sogni sono pieni di figure che si sparpagliano al vento come foglie, sono pieni di anime che formano costellazioni, come le stelle che io non sopporto di vedere. (…)
Ogni sei o sette giorni più o meno, la mattina, quando ci prepariamo per andare a letto e ci sottoponiamo alla stupefatta routine dell’inzaccherarci, del metterci in disordine (scompigliamo ogni sopracciglio, accarezzandolo contropelo con un dito), Tod ed io possiamo sentire il sogno che sta aspettando di manifestarsi, che raccoglie energie in qualche luogo, dall’altra parte. Noi siamo fatalisti. Stiamo lì sdraiati, con la lampada accesa, mentre l’alba sbiadisce. (…) Allora il ritmo del nostro cuore sale, in continuazione, finché le nostre orecchie non soffocano per il sangue nuovo. Ora non sappiamo chi siamo. Io devo essere pronto per quando Tod allungherà il braccio verso l’interruttore della luce. E poi nel buio con un grido che dà una torsione feroce alla mascella – ci siamo. L’enorme figura in camice bianco, con i suoi stivali neri a cavalcioni di molti ettari. E in qualche punto laggiù, tra le sue gambe, la coda delle anime. Vorrei avere potere, quel tanto di potere che basta per distogliere gli occhi. Per favore, non mostratemi i bambini…Da dove viene il sogno? Lui questo non lo ha ancora fatto. Perciò il sogno deve essere su ciò che Tod farà un giorno.”

Come raccontare l’Olocausto sovvertendo la legge della Freccia del tempo? Martin Amis in questo romanzo geniale e feroce (aggettivo imprescindibile delle sue opere) riesce nell’intento. Lo fa sondando “la natura dell’offesa“, titolo alternativo, ora sottotitolo, ed espressione appartenente a Primo Levi (sua fonte di ispirazione). Una natura che “fu unica, non per la sua vigliaccheria, ma per il suo stile, nella sua combinazione di atavico e di moderno”. Lo fa attraverso Tod Friendly, John Young, Hamilton de Souza e Odilo Onverdorben, le quattro identità che animano la medesima persona, il protagonista della Freccia del tempo, un criminale di guerra, un medico impegnato ad Auschwitz al fianco di “Zio Pepi“, il dottor Mengele. E al momento della propria morte (prologo del romanzo) spetta a Tod Friendly (un nome, un ossimoro), in una sorta di palingenesi, trovarsi a ripercorrere a ritroso l’intera esistenza sino a concludersi nel grembo materno (epilogo del romanzo), rivivendo, dunque, anche un segmento di quella traiettoria spazio-temporale che ha indelebilmente segnato la storia dell’umanità.
La prima incursione di Amis nella Shoah – la seconda avverrà nel 2014 con La zona d’interesse – è disorientante e vertiginosa non solo per il lettore, ma anche per il protagonista stesso che soltanto con il susseguirsi degli eventi prende coscienza della propria aberrante identità. Risiede in questa (potenziale) inversione della morale, talvolta più consapevole ed emotiva ma quasi sempre lucidamente siderale, la potenza della freccia del tempo. Un tempo in cui i sogni baluginano e sono forieri di un futuro drammatico (“L’universo di Auschwitz, bisogna ammetterlo, era ferocemente coprocentrico“), divenendo infine colorati, estatici, epurati del contenuto.

“Si ferma per un attimo nel campo. Solo per un attimo. Non esistono unità più grandi del suo tempo. Deve agire finché c’è ancora l’infanzia, finché ogni cosa è sua compagna di gioco – persino la sua cac-ca. deve agire finché c’è ancora l’infanzia, prima che qualcuno venga a portarsela via. E loro verranno. Spero che il medico indosserà qualcosa di carino, qualcosa di appropriato, e non il camice bianco e gli stivali neri, che certamente…Io stesso. Sbaglio. Sbaglio. Noi protestiamo, noi facciamo i capricci. Guardate! Laggiù, oltre il pendio di pini, le arciere si stanno radunando con archi e bersagli. In alto una sorta di luce da visione che sta venendo meno, con il cielo che reprime la propria nausea. Le molte sfumature della propria nausea. Quando Odilo chiude gli occhi, vede volare una freccia – ma nella direzione sbagliata. Con la punta avanti. Oh no, ma allora…Siamo di nuovo via, sopra il campo. Odilo Unverdorben e il suo cuore avido. E io dentro, che sono arrivato nel momento sbagliato – o troppo presto o quando era oramai troppo tardi.”

 

…Bassa entropia…alta entropia…Bassa empatia …alta empatia….

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