Saltare dentro a nuovi mondi “sempre attenti al presente ma con la testa tra le pagine” è l’invito lanciato ai lettori dal Salone Internazionale del libro di Torino che nella XXXV edizione ha avuto come titolo e tema portante “Attraverso lo specchio”, un omaggio all’universo geniale di Lewis Carroll. Replicare e reiterare tale pratica, saltare di storia in storia attraversando lo specchio per scoprire ciò che è visibile soltanto andando oltre, è un ottimo esercizio.
Alice l’ha fatto… e che viaggio.
Coraggio… saltiamo!
Nata nel 2018, “The Passenger”, la collana per esploratori del mondo edita da Iperborea, è una guida da viaggio sui generis che, attraverso inchieste, reportage letterari e saggi narrativi redatti da scrittori, giornalisti ed esperti locali ed internazionali, racconta la vita contemporanea di un determinato luogo e dei suoi abitanti per capirne, in profondo, la realtà. Esplorando la sfera culturale, economica, politica, riportando anche curiosità ed aneddoti, The Passenger ha attraversato il mondo dall’Islanda all’Olanda, dal Giappone alla Norvegia, da Berlino a Roma, dalla California alla Nigeria sino all’ultimo nato, quello situato “in mezzo alle terre”: “Mediterraneo”.
«Politici, storici e scienziati hanno spesso provato a proclamare una comune identità dei popoli che circondano il Mediterraneo. Ma la sua attrattiva e importanza, dice il più importante storico del nostro mare, stanno proprio nella sua frammentazione e varietà, che hanno permesso gli scambi culturali e commerciali attraverso cui le sue grandi invenzioni – dal monoteismo al turismo di massa – continuano a influenzare il mondo intero. »
«Io e mia zia uscivamo spesso insieme perché lei e il marito, che non avevano figli, abitavano a pochi minuti da noi, e anche perché a unirci c’era un doppio legame di parentela. Da bambini, quando qualcuno ci chiedeva spiegazioni sugli intrecci della nostra famiglia, io e i miei fratelli avevamo imparato a rispondere con questa tiritera:
“Un fratello e una sorella hanno sposato una sorella e un fratello.
La coppia più anziana non ha figli e quindi quella più giovane glieli presta”».
Il ritratto di una famiglia stra-ordinaria è quella che Michael Frank – attualmente in libreria con la sua ultima fatica “Cento volte sabato” – disegna ne “I formidabili Frank” (Einaudi). Una famiglia caleidoscopica. La sua famiglia. Cresciuto secondo il dogma “crea bellezza tutte le volte che puoi”, Michael viene iniziato al mondo dell’arte, della musica, del cinema e della letteratura dalla zia Hank, sceneggiatrice di Hollywood. Vulcanica, dominante, “control freak”, è lei la vera protagonista della scena. Ma proprio da quell’“l’essere umano più magico che lui avesse mai conosciuto” l’autore, nel corso della propria crescita, sentirà l’esigenza di affrancarsi. Una storia, una vita, guidata dal prefisso “stra” è quella degli “irresistibili sette”.
«L’emergenza è sempre stata con noi, e se non l’emergenza vera e propria, l’idea che stesse per arrivare. Il ronzio nell’aria dopo un boato. La conta prima che il tuono colpisca. E ora, finalmente, eccola, l’emergenza che aspettavamo tutta la vita. Prendiamo metri di mussola e i nostri coltelli, e scendiamo verso la riva ora che gli uomini sono ancora deboli»
In un’isola “da sogno” delimitata sulla terra da filo spinato, nell’acqua da boe al largo, un padre ha come priorità assoluta l’incolumità delle sue tre figlie. A protezione di una grande minaccia incombente sul genere femminile, le tre sorelle, Grace, Lia e Sky, vivono in uno stato di “necessaria segregazione” affrontando, quotidianamente, duri sacrifici e allenamenti, per scongiurare il pericolo che si fa concreto quando sull’isola approdano tre naufraghi. Minaccia incombente sulle donne sono, infatti, gli uomini, che con le loro tossine “le contaminano” per via aerea. È una narrazione spaesante e distopica, definita da Margaret Atwood “un’avvincente favola nera”, quella di Sophie Mackintosh in “La cura dell’acqua” (Einaudi), che per la cadenza del fraseggio, siderale ed asciutto, rimanda alla cattivissima “Trilogia della città di K.” di Agota Kristof.
«Il libro parla di una vita, la mia, quindi non sembrerà un romanzo, piuttosto una raccolta di racconti collegati fra loro, con divagazioni saggistiche. Idealmente mi piacerebbe che “La storia da dentro” venisse letto a intermittenza, saltando le pagine, o rimandandone la lettura o tornando a rileggerle, naturalmente con frequenti intervalli per tirare il fiato. […] Nel frattempo goditi New York. E di nuovo benvenuto in Strong Place!
Adesso prendi il bicchiere, la borsa te la porto io. Non è affatto un disturbo. C’è l’ascensore. Oh, ma figurati… de nada. L’onore è tutto mio. Sei mio ospite. E sei il mio lettore”.»
Uscito postumo soltanto in Italia, “La storia da dentro” (Einaudi) di Martin Amis, scomparso il 19 maggio, sembra riprendere la parola, fluviale, autobiografica e romanzata di “Esperienza” scritto nel 2000. L’autore inglese, penna, tra gli altri, del geniale “La freccia nel tempo”, in questo memoir che lambisce ora il manuale di scrittura ora il romanzo, ora la realtà tratta da materiale privato ora la creatività narrativa, volge il proprio sguardo, commovente e riflessivo, sulla vita, sull’amicizia e talvolta anche sulla morte di coloro che, al contempo, furono amici e mentori come Philip Larkin, Saul Bellow e Christopher Hitchens. E il suo occhio inquadra anche i luoghi, da Brooklyn all’Uruguay, da Londra a New York, dal Vermont a Houston allo Yorkshire. I luoghi della sua, della loro storia. Una vita destabilizzante e che bussa alla porta… di tutti.
«Cari futuri,
Mi chiamo Magetti Francesco (detto Cesco), faccio ventitré anni il ventuno luglio e sono un milite della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria (ferroviaria = delle ferrovie, dove camminano i treni. Lo specifico nel caso in cui da voi i treni non esistano più, sostituiti da navicelle volanti, e di conseguenza nemmeno le ferrovie) […] Mi sono fatto attrarre dall’idea di lasciare un segno del mio passaggio sul pianeta terra realizzando una capsula del tempo».
Tanta avventura, tanta letteratura, tantissimi personaggi, tanto dramma, tanta comicità, tanta commozione, ci sono in “Ferrovie del Messico” (Laurana Editore) di Gian Marco Griffi, entrato nella dozzina “stregata” 2023, vincitore del Premio Mastercard per la Letteratura 2022 e libro dell’anno per Fahrenheit. L’autore, che proprio nella sua città natale ambienta la narrazione, Asti – nel 1944 Repubblica Sociale Italiana – ha intessuto la tela di “un’epica tragicomica che genera storie su storie” in un impianto narrativo polifonico che vede le peripezie del protagonista, Cesco Magetti, un milite della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria, incaricato di compilare una mappa delle ferrovie del Messico, un ordine proveniente dall’apice del comando tedesco e che cela segreti di guerra.
Romanzo ora fantastico ora realistico, in “Ferrovie del Messico” risuonano Bolaño, Gadda, Borges, Pynchon e i Monty Python… mentre Cesco scopre l’imprevedibilità del mondo e il nonsense dell’esistenza.
«In camera da letto Helen mette giù il libro e lo osserva mentre si spoglia. Sorride, si sporge in avanti. Se solo Ted riuscisse ad avere idea di cosa sbaglia lo cambierebbe subito e tutto tornerebbe a posto. Vorrebbe tanto che partisse una musica: lui muoverebbe le labbra e spiegherebbe a Helen questo, e anche tutto il resto.»
Cosa fa la gente tutto il giorno? Secondo Peter Cameron cerca se stessa e lo espone in dodici racconti, scritti tra il 1984 e il 2014, raccolti ora in un volume per Adelphi recante l’interrogativo come titolo. Al microscopio dell’autore statunitense l’animo umano, che esplora, in un’atmosfera rarefatta e straniante, scandagliandone le sfaccettature. Diversa è l’età dei personaggi, diversa l’estrazione sociale, la condizione, l’ostacolo. Da vite ordinarie sorprese da eventi spiazzanti – come “la giovane inquieta che avverte un inatteso soffio di calore domestico nel più artefatto degli ambienti: un parco a tema per turisti” – a piccoli e grandi drammi familiari, esistenziali, sentimentali. “Cosa fa la gente tutto il giorno?” racconta dodici vite, fragili e complesse, vite che potrebbero essere quelle di tutti.
« “Il male immaginario è romantico, romanzesco, vario; il male reale incolore … desertico, noioso. Il bene immaginario è noioso; il bene reale è sempre nuovo, meraviglioso, inebriante.” Si parla troppo, e con troppa compiacenza, del mistero del male. Essere disposti a morire per uccidere, essere disposti a morire per salvare: qual è il mistero più grande?»
Da venerdì 13 settembre 2021 sino a giugno 2022, Emmanuel Carrère ha preso posto, regolarmente, dalle 12.30 alle 19.30, sulle panche nell’enorme “scatola di legno bianco” appositamente costruita per ospitare quello che è stato definito “il processo del secolo”: il processo ai complici e all’unico sopravvissuto fra gli autori degli attentati terroristici avvenuti a Parigi il 13 novembre 2015 che, tra il Bataclan, lo Stade de France e i bistrot assaltati, hanno causato 130 morti e oltre 350 feriti. Il risultato di questa frequentazione delle aule di giustizia da parte dello scrittore francese è “V13” (Adelphi). Lungi da patetismo e voyeurismo, V13 è un reportage narrativo sulle udienze cui Carrère ha assistito – cadenzato in tre parti, Le vittime, Gli imputati, La corte – che restituisce “esperienze estreme di morte e di vita”, un abisso fatto di orrore, ferocia, follia, fanatismo e sofferenza dal quale è precluso il ritorno.
«– In ogni cosa c’è magia.
Trovare la tenda al buio è magia.
Pure leggere il palmo della mano.
– Già, da voi si predice il futuro sulle linee della mano.
– Non è predire. Impariamo a leggere come si fa col cielo di notte.
Tu leggi i libri, io leggo le mani.»
È l’autore stesso nella premessa a presentare i due protagonisti di “Le regole dello Shangai”, mosso dalla necessità personale, di lettore, avversa a conoscere i personaggi di un libro dopo tante, troppe pagine: lui è un orologiaio, un anziano campeggiatore solitario, che interpreta il mondo secondo le regole del gioco cinese (“Uno vede la vita come un fiume, uno come un deserto, un altro come una partita a scacchi con la morte. Io la vedo sotto forma di un gioco di Shangai fatto da solo”); lei è una giovane gitana scappata dal campo, dalla famiglia e da un matrimonio combinato.
Il loro fortuito incontro è l’abbrivio per la nascita di un’intesa che poggia su dialoghi serrati e che portano ad un apparente reciproco disvelamento del sé.
Erri De Luca con “Le regole dello Shangai” (Feltrinelli) invita a “un gioco calmo, paziente e lucido, nel quale anche una mossa impercettibile può cambiare il corso della partita”.
«Tutta la storia giapponese è costellata da piccole e grandi operazioni di sintesi e sincretismo, sempre entusiasmanti o quantomeno istruttive. Dall’integrazione dei caratteri cinesi e del buddhismo, all’animazione limitata “nonostante” Disney e alla ricostruzione dell’inferno dantesco in chiave manga action, non c’è stimolo o input che i giapponesi non abbiano saputo recepire e assimilare in maniera pratica o creativa”.
Karaoke, walkman, Pac-Man, Pokémon, Tamagotchi, emoji, Hello Kitty, Nintendo, Dragon Ball Z, Jeep giocattolo, manga drammatici, animaletti kawaii,idraulici baffuti. Questi e tanti altri sono stati molto più che semplici successi di marketing. “POP ポップ – Come la cultura giapponese ha conquistato il mondo” (Add Editore) è un saggio in cui Matt Alt racconta nascita, sviluppo e diffusione di quei “congegni trasmetti-fantasie” che hanno spalancato le porte alla modernità quotidiana occidentale. Tuttavia POP non è soltanto la storia del pop nipponico né un’inedita antologia di aneddoti e curiosità, ma, ricostruendo, a partire dal dopoguerra, l’evoluzione culturale e tecnologica del Paese del Sol Levante, si configura anche come una preziosa guida alle bellezze e ai pericoli dell’immenso tesoro che rappresenta, rimarcandone le luci più abbacinanti come le derive più ambigue ed oscure.
«Sei Daria. Sei D’aria. L’apostrofo ti trasforma in sostanza lieve e impalpabile. Nel tuo nome un destino che non ti fa creatura terrena, perché mai hai conosciuto la forza di gravità che ti chiama alla terra. Gravità, che ogni nato conosce non appena viene al mondo. […] Tu non sai lo splendore quotidiano dello stare in piedi, la “piccola danza” che muove ognuno nell’apparente immobilità del corpo verticale. Né immagini il mistero del peso che si trasferisce da una gamba all’altra e origina il passo. Altra è la gravità che ti riguarda: “condizione che desta preoccupazione o annuncia pericolo”. Condizione che sempre accompagna i documenti che ti definiscono: “handicap grave”, “ipovisione di grado grave”, “grave compromissione” …»
Giochi di parole, beffe del destino. “Come d’aria” (Elliot Edizioni) di Ada D’Adamo è una sorta di lettera, di diario che l’autrice indirizza alla figlia, nata con una gravissima malformazione, l’oloprosencefalia. Ora che anche Ada, ballerina che col corpo ha sempre lavorato avendone il totale controllo, scopre di essersi gravemente ammalata, le racconta la storia di due donne. La loro storia, di madre e di figlia, indissolubilmente legate da una “danza”. C’è tanta vita e tanto amore, in “Come d’aria”, non c’è prossimità alcuna a inutili pietismi e non ci sono né ci saranno neppure lodi immeritate, potenziale automatismo alla notizia della scomparsa dell’autrice due giorno dopo l’annuncio dell’ingresso del suo libro nella dozzina del Premio Strega 2023, ora finalista nella cinquina e già vincitore del Premio Strega Giovani.
« “Non vede, vero?” “No”. “Ma parla?” “No”. “Cammina?” “No”. “Ma allora è magica!” »