14 Ottobre 2016

Lo spasimo di una vita

La Natura Esposta
di Erri De Luca

 

“Qui si sta raffigurando la morte di un atleta sotto sforzo.
La sua bellezza è tale che un tribunale di donne non l’avrebbe condannato.
Non per il desiderio di abbracciarlo, ma per rispetto della perfezione. Sarebbe stato assolto per ammirazione.”

 

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“Ci sono un artigiano, un cattolico, un rabbino e un musulmano…”
Non è una barzelletta, è La Natura Esposta (Feltrinelli) di Erri De Luca, un racconto teologico che attinge nuovamente alle Sacre Scritture, terreno di cui è assiduo, quotidiano frequentatore, da leggente, da non credente.
Un racconto “dell’ascolto” in cui i dialoghi, imbiancati dalla polvere del marmo di cui è materia il crocifisso che un artigiano di molti mestieri è chiamato a restaurare, sono quelli tra differenti credo capaci di scambiarsi informazioni. Rimuovere il panneggio a copertura della nudità introdotto nell’iconografia cattolica dalla Chiesa Tridentina  è la sua delicata missione, riabilitando, così, il primigenio messaggio della verità del sacrificio: originariamente, infatti, sulla condanna a morte per crocifissione gravava anche la pesante umiliazione dell’essere issati ed esposti nudi.
Al tatto e alla vista di quella epifanica nudità, appartenuta ai compagni dell’artista dell’opera caduti in battaglia durante la Prima Guerra Mondiale, appartenuta ad egli stesso, prestando il proprio corpo al crocifisso in un’esperienza di identificazione fisica, il restauratore è spinto da un moto di compassione.
Una spinta improvvisa dentro il sangue”. L’impulso di coprirla.
Apparentemente distante dalla devozione per la rappresentazione sacrale, si palesa quale espressione di un sentimento religioso. Manifestazione di una delle sette opere della Misericordia, esacerbata dal dettaglio più commovente di tutte le immagini cristiane:un guizzo della vita che si oppone”, “l’ultimo spasimo di una vita che si spegne”.

“Dev’essere l’effetto che fa l’arte: supera l’esperienza personale, fa raggiungere al corpo, ai nervi, al sangue, traguardi sconosciuti. Davanti a questo moribondo nudo si sono commosse le mie viscere. Mi sento un vuoto in petto, una confusione di tenerezza, uno spasmo di compassione. Ho messo la mano sui suoi piedi, per riscaldarli.”

Il medesimo sentimento nutrito per quelle anime migranti che nella “terra di transiti”, da dove egli proviene, accompagna oltre le creste montane. Quel giovane in stato di forzato allungamento, con la pelle d’oca, con una grinza prodotta da un crampo, i bicipiti stirati, i tricipiti in rilievo per la torsione, i fianchi scavati, le ossa del bacino sporgenti come due parentesi in cui “s’infossa il digiuno di un atleta”, è stato inchiodato ad una croce da “una ragione per la quale accoglie il sacrificio senza ritrattare”, mentre “un bambino fatto uomo alla svelta in un viaggio, con tre sillabe in bocca e due occhi diritti e scuri mi ha inchiodato”, si sorprende l’artigiano rimanendo “svuotato con la carta geografica davanti”.
Ne La Natura Esposta si leggono le (materiche) parole riferite dallo scultore Lois Anvidalfarei all’amico Erri De Luca che con sublime naturalezza – tutti i temi trattati sono, infatti, assai cari all’autore, quasi un alter ego dell’artigiano/scalatore – e con maestria fa proprie traducendole nella sua ineguagliabile prosa, ruvida ma emotiva, traditrice, come sempre, della sua vena poetica.

Lois Anvidalfarei, In sich, 2013-2014, gesso, foto di Gerhard Watzech

Lois Anvidalfarei, In sich, 2013-2014, gesso, foto di Gerhard Watzech

«Leggo in una poesia di Puškin:
“Sono sopravvissuto ai miei desideri”. Io no. Non ci sono stato mai. Quando pensavate che c’ero, non ero con voi. Quando vi parlavo, dentro di me tacevo. Quando camminavo tra voi, ero invece fermo sotto un vento che andava al posto mio. Quando ero alla vostra tavola, ero in cucina a moltiplicare pesci. Non vi accorgerete della mia assenza, perché a quel punto ci sarò. Sarò per voi immancabile da assente»

 

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