8 Ottobre 2022

“La mente non si apre se prima non si è aperto il cuore”

festival filosofia 2022
“giustizia”

Modena – Carpi – Sassuolo
Lectio magistralis di Umberto Galimberti

Attesissimo ospite della 22^ edizione del festival filosofia tenutosi dal 16 al 18 settembre scorsi a Modena, Carpi e Sassuolo, sul tema ‘giustizia’, è stato il filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti. Attraverso i concetti di istinto, pulsione, identità, intelligenza, di risonanza emotiva, di ‘ruolo scolastico’, Galimberti ha affrontato la questione delle conseguenze emotive e morali dell’attuale sistema educativo e della condizione giovanile dando voce anche alle parole dei grandi pensatori dell’antica Grecia, nei quali ha sempre deposto totale fiducia.

Con la lectio “La scuola e l’educazione delle emozioni e dei sentimenti” ha risposto alla domanda “Oggi la scuola insegna ai ragazzi a prendere consapevolezza dei propri sentimenti, ed educa alle emozioni?”.

“No! Oggi la scuola non lo fa. Al massimo istruisce, quando ci riesce. Ed è una grande ingiustizia che in un’età incerta, difficile, confusa, un’età da cui dipende la qualità della crescita dei nostri figli , questa istituzione non assolva il compito cui è deputata”.

Esordisce tranchant Umberto Galimberti, con parole severe verso una povertà educativa che solleva riflessioni costituzionali, sociali e morali, e che non risparmiano nessuno, genitori compresi: “fuori dalla scuola i genitori che fanno i sindacalisti dei figli, preoccupati solo della promozione“.

Educazione e istruzione sono due cose differenti. L’istruzione è un passaggio di contenuti mentali, di informazioni da chi li possiede a chi non li possiede, mentre l’educazione è la cura degli aspetti pulsionali, emotivi e sentimentali. Perché come diceva Platone ‘La mente non si apre se prima non si è aperto il cuore’. Quanti sono oggi i professori capaci di aprire il cuore degli studenti? “Pochissimi”. Occorre, infatti, la paideia di Platone, l’educazione di cui l’uomo necessita e che lo differenzia dagli animali regolati, invece, dagli istinti ossia risposte ‘rigide’ agli stimoli: ne è un emblematico esempio l’erbivoro che tra un pezzo di carne e un covone di fieno sceglie il secondo. L’uomo, essere non istintivo ma mosso da pulsioni a meta indeterminata, attraverso l’educazione individua, dunque, le mete cui pervenire.

Atte a determinare il modo di conoscere il mondo e di sentire la sua risonanza emotiva su se stessi sono le mappe cognitive ed emotive necessarie per crescere. Si costruiscono definitivamente, secondo Freud, nei primi sei anni di vita, nei primi tre secondo le neuroscienze. I bambini vanno, quindi, guardati, curati, accuditi, lodati nelle loro azioni buone, redarguiti in quelle meno buone, affinché dispongano di queste mappe. Da tali schemi si crea, poi, l’identità che non è un fatto individuale bensì sociale. Fonte dell’identità umana è, pertanto, la società, il riconoscimento degli altri, anche da adulti. “Secondo Aristotele se qualcuno vive in una società e pensa di fare a meno degli altri, allora, o è Dio o è bestia, ma non è uomo: perché l’uomo è un animale che parla, che parla con un altro, un altro che lo riconosce. Secondo Platone se un uomo guarda la parte migliore dell’occhio di un altro vede se stesso. Il nostro se stesso è generato dal rapporto con gli altri.”

Il processo educativo deve, quindi, prevedere la cura delle emozioni, dei sentimenti, dei loro delicati passaggi, deve seguire i ragazzi e portarli dal livello pulsionale al livello emotivo, dal livello emotivo a quello sentimentale. Chi si ferma alle pulsioni si esprime con i gesti e non con le parole: è colui che viene definito ‘bullo’ ed espulso anziché essere accompagnato dalla scuola dallo stato pulsionale allo stato emotivo, che corrisponde alla risonanza emotiva connotante la consapevolezza che l’uomo ha dei suoi comportamenti e dalla quale dipende la sua potenziale pericolosità.

“Bisogna insegnare ad approdare ad una consapevolezza delle conseguenze dei loro comportamenti, cosicché in età adolescenziale i ragazzi sappiano distinguere la differenza tra insultare un professore, magari non in presenza, e prenderlo a calci, oppure tra corteggiare una ragazza e stuprarla. Non sto esagerando, perché, ad esempio, quando per ragioni giornalistiche leggo nei referti le risposte degli studenti agli inquirenti, sono disarmanti: ‘Cosa abbiamo fatto di strano?’ ‘Noi giocavamo’. Urge insegnare la risonanza emotiva! Alle elementari si è ancora in tempo, alle medie è già più difficile. Alle superiori no, non ce la fai più.”

E proprio la scuola elementare risulta essere l’unico settore scolastico in cui ancora sopravvive un’attenzione all’educazione, in cui le maestre si occupano di comprendere il bambino, le sue condizioni familiari, eventuali ostacoli all’istruzione, “a parte la patologizzazione della scuola perché da quando la psichiatria e psicologia sono entrate nelle aule, sono tutti discalculici, dislessici, disgrafici. Un’attenzione all’educazione che, però, a partire dalle scuole medie – il compartimento scolastico più disastrato, e non ne ho mai compreso il motivo – va scemando.
Dalle elementari ai 18 anni la scuola deve essere di formazione, le competenze si imparano dopo, all’Università, come anche la scuola-lavoro… e poi si vedono i disastri che accadono.”

E poi ci sono i sentimenti, che vanno insegnati, vanno imparati. Non si posseggono, infatti, per natura essendo un fenomeno culturale.

“O li abbiamo imparati o non li abbiamo. Le tribù primitive attraverso i miti e i racconti insegnavano la differenza tra il sacro e il profano, tra il puro e l’impuro, tra totem e tabù. Le nostre nonne ci raccontavano storie anche truci. Non so se anche le nonne di oggi lo fanno, o pensano soltanto al lifting. Non esonerate i bambini dalla conoscenza del male, non ditegli che è sempre Natale, non raccontategli che la vita è solamente bella. Se muore qualcuno portatelo al funerale, fategli conoscere la morte, capiranno limitatamente alla loro capacità  di comprensione,  ma da grandi avranno gli strumenti per affrontare la situazione, essendosi formato il modello dentro di loro.”

I greci avevano descritto l’Olimpo mediante una ‘grandiosa’ fenomenologia di tutti i sentimenti umani: Zeus era il potere, Atena l’intelligenza, Afrodite la sessualità, Apollo la bellezza, Ares l’aggressività, Dioniso la follia. Oggi disponiamo di un fantastico repertorio chiamato letteratura, deposito di tutti i sentimenti nella loro declinazione, coniugazione, variazione. La letteratura ci insegna cos’è il dolore, cos’è l’amore, cos’è la tragedia, cos’è la disperazione, la speranza, il coraggio, l’angoscia, la noia, il suicidio. Queste cose le impari lì!
Però abbiamo riempito le scuole di computer… e non di letteratura.
E quando il ragazzo dovrà affrontare un dolore, sarà disarmato, non disponendo dello schema mentale per affrontarlo. ‘Il dolore è un errore della mente’, dice giustamente Eschilo. Se la tua mente è vuota, non hai imparato nulla.”

E la Dad? “Un fallimento totale. Non hanno imparato nulla. La gente ha perso i soldi, il lavoro, la vita e gli studenti avrebbero anche potuto perdere un anno e ripeterlo! Sarà stato un contributo la Dad, un qualcosa piuttosto che niente, ma più simile al niente che al qualcosa.”

Lo stesso Clifford Berry, inventore del primo computer nel 1939, in un recente libro sostiene la dannosità dei pc nelle scuole: un’ora davanti ad uno schermo non trasmetterà mai quanto un maestro dona in dieci minuti. E non potrebbe neppure rappresentare un aiuto laddove vi fossero cattivi insegnanti, perché Berry suggerisce, giustamente, il loro licenziamento e l’assunzione di altri bravi.

“Ecco il reale problema della scuola! L’impossibilità di licenziare gli insegnanti incapaci perché sono di ruolo. La vera riforma dovrebbe consistere nell’abolizione del ruolo e nella selezione degli insegnanti attraverso un colloquio (come nella maggior parte delle professioni, e come già avviene nei paesi nordici), un test di personalità che verifichi la sua empatia, la capacità di leggere nella mente e nel cuore dei suoi allievi, di relazionarsi con loro che non significa condividere una pizza. Anzi, questo non dovrebbe mai farlo un professore, perché diventa uno di loro e perde autorità e fascino, il giorno dopo. Non prevedere il licenziamento nel sistema scolastico significa permettere ad un professore demotivante, che quindi inibisce la capacità di crescita di un ragazzo in un’età incerta ma anche più costruttiva, di continuare a disincentivarlo per 40 anni. Se oggi uno studente ha avuto 1 o 2 veri maestri è già salvo, e gli studenti più fortunati andranno all’estero, mentre i peggiori resteranno qui. A prendere il reddito di cittadinanza”.

E perché c’è il ruolo? “Perché lo Stato italiano ha sempre considerato la scuola come luogo per assegnare posti di lavoro a persone pagate con uno stipendio sino al giorno della loro morte, mai come un luogo di educazione per i giovani. Non avrebbe costituito classi da 30 alunni, impossibili da seguire emotivamente, ma da 12, massimo 15. Questo non è un sistema educativo. Non funziona così.”

Fondamentale è, infatti, individuare l’intelligenza di ogni alunno che non sempre coincide con quella logico matematico applicata a scuola, la più semplice, quella che consente di comunicare in maniera univoca. Esistono diversi tipi di intelligenza da cui prendere l’abbrivio: intelligenza musicale, linguistica, artistica, psicologica, fisica. E l’insegnante deve riconoscerla per poi arrivare a quella logico matematica, perché se si parte da questa il ragazzo non è in grado di ragionare.

Ogni ministro della Pubblica Istruzione si limita, ogni anno, a modificare l’esame di maturità, o a oberare i professori di inutili riunioni pomeridiane. “Ma non è questa la riforma della scuola. È la qualità della persona il problema. La scuola avviene con un maestro e dei discepoli, il sistema inventato da Socrate. Un rapporto emozionale, non mediato da computer. Il problema è l’idoneità dell’insegnante a questo mestiere, che più che un mestiere è una vocazione… come quella del giudice e del medico. O hai una passione, una propulsione interna o non lo fai. Non è qualcosa che si fa ma qualcosa che si è!

Mi ha scritto un dirigente scolastico del Meridione: in un plesso di 2500 studenti, il 40% degli insegnanti è fatto da professionisti falliti, il 20% assolutamente inidoneo, il 40% senza lode e senza infamia che sta calcolando, come il militare, i giorni mancanti alla pensione. Cosa facciamo? Manteniamo in questo stato la scuola per i giovani che vivono già una condizione di vita faticosa?

E poi. È possibile l’ignoranza degli insegnanti in materia di psicologia dell’età evolutiva pur insegnando a studenti in età evolutiva? È così difficile introdurre una riforma che vincoli l’insegnamento al superamento di un esame in questa materia?”

I professori, inoltre, dovrebbero essere carismatici, un po’ attori, interpretare la cattedra come un palcoscenico, ed essere strumento per rendere la cultura seduttiva. “Se i professori sapessero raccontare la Divina Commedia non come Benigni, ma quasi, anziché incarognirsi sulla ‘Battaglia  di Campaldino, nota 51 pag. 30’, gli studenti sarebbero più stimolati.

Povertà educativa e scolastica rendono il futuro agli occhi dei ragazzi non più una promessa, ma quasi una minaccia, e retroagisce come motivazione, inducendoli a porsi domande che restano inevase sui perché e sullo scopo della vita.

“Chiudo con molta rabbia in corpo – conclude Umberto Galimberti – . Perché sento parlare solo di giovani. Ma li conosciamo questi ragazzi? Loro vivono in un altro mondo che è molto digitale e poco reale. L’introduzione della digitalizzazione anche nella scuola modifica il modo di pensare. Perché il mondo informatico lavora col codice binario digitale segue la logica “dell’ uno zero”, del “sì e no”, al massimo “non so”. La stessa logica che presiede il referendum, il quiz che precede il telegiornale come trasmissione da traino, gli esami per l’ammissione all’università. Stiamo scherzando? Con una logica binaria non riesci a risolvere i problemi di una società complessa.

Tra i 15 e 30 anni i giovani hanno il massimo della potenza biologica, ideativa, sessuale. Pur desiderandolo non potranno procreare per la mancanza di basi lavorative, abitative, economiche. Occorre aprirgli subito… in quel periodo, il mondo del lavoro, ma in una modalità creativa, non secondo la ripetitività delle procedure, non rendendoli precari, non con contratti co.co.co!

Allora… se voi pensate che una società possa fare a meno della sua parte biologicamente più forte, sessualmente più potente, ideativamente più significativa, abbiamo la società che ci troviamo.

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