William Shakespeare
23 aprile 1564 – 23 aprile 1616
Ricordato principalmente per le sue tragedie e commedie, William Shakespeare – superflua è qualsiasi presentazione – del quale oggi tutto il mondo celebra i 400 anni dalla sua morte, fu anche, e soprattutto, un poeta.
Ne è massima espressione il Canzoniere, la raccolta dei 154 sonetti che, causa la sua notoria disorganicità, ha impegnato gli studiosi in una strenua attività esegetica e traduttiva. Paradigmatico dell’opera del drammaturgo e di quella definita tra le personalità più importanti della letteratura, non solo inglese, è il Sonetto n. 18 in cui la potenza immortale e perpetuante della Poesia raggiunge una sorta di estatica bellezza.
Shall I compare thee to a Summers day?
Thou art more louely and more temperate:
Rough winds do shake the darling buds of Maie,
And Sommers lease hath all too short a date:
Sometime too hot the eye of heauen shines,
And often is his gold complexion dimm’d;
And euery faire from faire some-time declines,
By chance or natures changing course vntrim’d;
But thy eternall Sommer shall not fade
Nor lose possession of that faire thou ow’st;
Nor shall death brag thou wander’st in his shade,
When in eternall lines to time thou grow’st:
So long as men can breathe or eyes can see,
So long liues this and this giues life to thee.
Ti comparerò dunque a giornata d’estate?
Tu sei ben più leggiadro e meglio temperato:
Ruvidi venti sferzano i soavi boccioli di maggio
E il termine d’estate troppo ha breve durata;
Troppo ardente talvolta splende l’occhio del cielo,
E sovente velato è il suo aureo sembiante,
E ogni bellezza alla fine decade dal suo stato,
Spoglia dal caso, o dal mutevole corso di natura:
Ma la tua eterna estate non potrà mai svanire
Né perdere il possesso delle tue bellezze,
Né la Morte vantarsi di averti nell’ombra sua,
Poiché tu crescerai nel tempo in versi eterni.
Sin che respireranno uomini, e occhi vedranno
Di altrettanto vivranno queste rime, e a te daranno vita.
[Traduzione Giorgio Melchiori]