27 Maggio 2022

Arte reggiana: femminile, plurale

Il talento delle artiste reggiane. Dal Rinascimento al Duemila
di Renzo Barazzoni, Alfredo Gianolio, Rossana Maseroli Bertolotti

“Quando si scrive delle donne,
bisogna intingere la penna nell’arcobaleno”


Denis Diderot

Una tavola imbandita. Un gruppo di amici accomunati dalla passione per l’arte, la storia, la cultura, la politica. E poi una sera, un’idea: un libro sulle artiste nella storia di Reggio Emilia.

Sono gli anni Novanta e sono tanti coloro che si radunano a quella tavola ondivaga che ospita di casa in casa nomi come Sergio Masini, Ugo Bellocchi, Rossana Maseroli Bertolotti, Renzo Barazzoni, Nadia Rosati, Alfredo Gianolio, Arnaldo Bartoli, Ulisse Giglioli, Athos Porta, Alessandro Carri.

Ma è soltanto nell’aprile del 2022 che quell’idea, allora in nuce, vedrà la luce andando alle stampe, grazie a Corsiero Editore, con il titolo “Il talento delle artiste reggiane. Dal Rinascimento al Duemila”, nonostante l’assenza “fisica” di due dei tre suoi autori: Renzo Barazzoni, scomparso nel 2014, e Alfredo Gianolio, scomparso nel 2018, due veri intellettuali per la loro visione ampia del mondo.

Di tutti quei “clerici vagantes”, così definiti dal critico d’arte Sandro Parmiggiani, firma della prefazione del libro, le incursioni nella storia delle artiste reggiane spettano, infatti, a Rossana Maseroli Bertolotti, a Renzo Barazzoni e ad Alfredo Gianolio. A loro il compito di disvelare nomi, volti che si specchiano in autoritratti, realtà sommesse e presenze “anonime” di tutte quelle donne che condizionamenti familiari, barriere sociali, culturali e istituzionali hanno voluto nell’ombra, celate con modalità e intensità differenti a seconda delle epoche.

La storica e scrittrice Rossana Maseroli Bertolotti si è immersa nei secoli più antichi, dal Medioevo al Settecento, scoprendo un mondo artistico sommerso impegnato nell’arte del ricamo, nella pittura di arredi sacri, nell’artigianato, all’interno delle botteghe dei pittori; scoprendo l’“Università della seta”, l’arte conventuale, le scuole di disegno, lo sviluppo delle Accademie come l’Accademia degli Ipocondriaci e l’Accademia dei Pronti, “luoghi in cui il nuovo s’avanza e si diffonde”.

Nonostante le rosee aspettative ventilate dai principi rivoluzionari, Renzo Barazzoni si scontra, in parte, con un secolo, quello dell’Ottocento, ancora ostile che vede “l’arte femminile come profanazione del tempio in cui solo gli uomini possono officiare” e relegata a rappresentare soggetti e temi figurativi ameni e delicati.

Nel “nuovo alito di vita di inizio Novecento”, in cui si respira una prima timida alba di riconoscimento del ruolo della donna nell’arte sino al racconto delle artiste contemporanee, infine, Alfredo Gianolio, si è calato dandosi con commovente dedizione.

Presentato all’Hotel Posta lo scorso 9 aprile nella Sala del Capitano del Popolo, “Il talento delle artiste reggiane” è una narrazione che ha trovato corpo cartaceo anche grazie “alla dolce ostinazione e alla caparbietà” dell’artista e segretaria di questa imponente operazione culturale, Nadia Rosati, riuscendo a recuperare testi, immagini, a domare ansie e a tessere la tela di un’Odissea che talvolta è stata una corsa contro l’inesorabilità del tempo.

Una narrazione corale, scritta a sei mani, che attraversa i secoli con piglio revanscista e che “al di là delle numerose notizie sulle artiste del passato e delle suggestioni sulle artiste del presente, ci parla anche del futuro, della strada ancora lunga che resta da percorrere, affinché il cammino delle donne che s’inoltrano nel sentiero, spesso solitario, dell’arte sia pienamente fruttuoso e soddisfacente”.

Una narrazione fatta soprattutto di cuore, come afferma Rossana Maseroli Bertolotti, che ai suoi due sodali, non soltanto di penna, tributa parole che da esso sgorgano.

Dialogando con Rossana Maseroli Bertolotti

Una tavola imbandita. Un gruppo di amici accomunati da tante passioni. E poi l’idea di questo libro. Com’è nata?
La genesi di questa opera ha avuto un percorso curioso: tutto è cominciato più di 25 anni fa, durante un incontro – un ‘agapè direbbe il prof. Bellocchi – in una cascina di campagna dove si erano riunite alcune delle migliori intelligenze della cultura cittadina: il prof. Porta, il sen. Carri, Ulisse Gilioli, il maestro Ferrari, il dottot Bertolotti, il prof. Masini, il prof. Parmiggiani… Si era in casa della pittrice Nadia Rosati e Pietro Rodolfi; nel corso della cena, dallo stesso prof. Bellocchi venne proposto alla pittrice Rosati di eseguire una serie di ritratti di personaggi reggiani “importanti”, che videro poi la luce, e agli altri commensali di scrivere una storia dell’arte al femminile.

Nadia Rosati, Rossana Maseroli Bertolotti

E poi come proseguì? Come avvenne l’attribuzione dei periodi storici?
Il professor Bellocchi disse: “…Te, Renzo (Barazzoni) et pres screver dal doni dl’Otseint…la sgnora Rossana, ch’ag pies andar a scuriosar in Archevi, la pres screver dagli artesti antighi..e te, Alfredo ed queli dal Novseint e dal zouvni…che ti chgnos toti….”. La proposta è piaciuta, e così ci siamo accordati, desiderosi di dare la stura ad una ricerca che ci avrebbe visti lavorare insieme, ancora una volta. È  cominciata così quella che sarebbe stata l’ultima fatica – gioiosa- dei due principali autori. Chi le parla si è buttata a capofitto nelle carte archivistiche, il prof. Barazzoni alla ricerca del tempo perduto, quell’Ottocento reggiano in cui si immedesimava, ed il serafico avvocato Gianolio a contattare le tante artiste che davvero conosceva e di cui scriveva profili e presentazioni. Ombra riservata e gentile, ma sempre presente per sopperire alla ricerca di immagini, per il lavoro al computer, perfetta segretaria, insomma, la brava Nadia, a cui si deve la riuscita del lavoro.

Come mai la gestazione del volume è stata così lunga?
La gestazione è stata lunghissima perché Gianolio si è interrotto per scrivere e dare alle stampe lavori su committenza relativi a Comuni reggiani: Sant’ Ilario ed altri.
Poi, dopo qualche insistenza, il nostro Gianolio si è svegliato una mattina ed ha ripreso in mano i suoi scritti, infognati in una grande, disordinata cartella, tenuta insieme da una corda. Abbiamo dovuto tirarci su le maniche, Nadia ed io: così, per due anni, ogni sabato mattina andavamo da lui che ci attendeva con le ultime pagine dattiloscritte, che portavamo a casa, le si sistemava sul PC corredandole con le immagini che il nostro capo allegava. Ci spiegava che voleva fare un lavoro nuovo, un po’ “Zavattiniano“: voleva, in poche righe, riuscire a condensare anima e cuore di ogni artista, una specie di “stricar in pochi paroli” l’essenza umana e creativa di quelle donne, a lui care. A me, che leggevo curiosa, parevano un concentrato di intelligenza pura.

E la svolta quando avvenne?
Gianolio è morto nel febbraio del 2018 . Quattro anni dopo, ecco la pubblicazione del volume. Per anni Nadia Rosati ed io siamo andate chiedendo aiuto per poter procedere nella stampa. Tante parole, qualche promessa…ma niente in solido. Così, con la chiavetta ci siamo presentate al dott. Casoli della Casa Editrice Corsiero, che è rimasto un poco perplesso. Come affrontare la spesa di un volume così corposo (e costoso) con niente? Ma alla fine la buona volontà di qualcuno ci è venuta in aiuto ed il libro ha visto la luce. Ora Barazzoni e Gianolio sorridono contenti.

Nadia Rosati, Alfredo Gianolio

Immagino che gli aneddoti e i ricordi dei suoi compagni di viaggio, Barazzoni e Gianolio, siano incalcolabili. Me ne può raccontare uno, particolarmente speciale?
Per ricordare Gianolio un libro avrei da scrivere, perché 50 anni condivisi da comuni interessi, da amicizia familiare, dal suo essere sempre disponibile, da “quel modo”, garbato, mite, ma acuto di rapportarsi, hanno segnato la nostra giovinezza e la nostra maturità. È difficile mettere a fuoco un ricordo, perché ce ne sarebbero troppi; mi viene in mente un pomeriggio d’agosto dei primi anni ’70: eravamo andati a Guastalla a trovare il pittore Arnaldo Bartoli. Eravamo i soliti amici, una ventina, leggermente squattrinati. Siamo andati allora a Dosolo, dove, in una modestissima trattoria si mangiavano pesciolini in frittura in un cartoccio, con pane e vino per pochi soldi. E Arnaldo suonava dei madrigali medievali, e Bonafini schiccherava ,e tutti cantavamo sereni. Ma la sorpresa è stata quella di sentire Gianolio tenere un discorso sugli uomini di Po, raccontare – per la prima volta con voce stentorea – la sua padanità, il suo sentirsi profondamente “uomo di fiume”. Ci lasciò tutti sorpresi e commossi.

Se mi si chiede un ricordo su Barazzoni, invece,  io lo rivedo a scuola, insegnante di Lettere. Noi lo ascoltavamo incantate della sua sapienza, del suo straordinario esporre magistralmente le lezioni, che andavano ben oltre l’accademismo. Non dimentichiamoci che si va indietro di 50 anni, e che noi si andava a scuola in bicicletta…e bisognava essere promosse…sennò…a lavorare! E lui faceva capire i problemi sociali, con “aulica” semplicità. Era il nostro mito, e tante lezioni si concludevano con un applauso.

Secondo lei la pandemia ha cambiato qualcosa nell’arte?
La pandemia ha influito sulla fruizione dell’arte, con le restrizioni, i numeri contingentati, gli spazi espositivi che hanno chiuso, l’aumento esponenziale dell’offerta digitale che ha cercato di porre rimedio alla mancata presenza.  Ha fatto sentire tutti più soli ma molti artisti hanno vissuto  decenni di lockdown nei loro studi e per questo  hanno continuato ad operare cercando in sé e nella propria solitudine.

Nadia Rosati, Renzo Barazzoni

Per sopravvivere alle varie tragedie della vita, pensa che prevalga la tendenza dell’arte a farle proprie o ad affidarsi a realtà e rappresentazione più rassicuranti?
Gli artisti vivono in un altro mondo, un mondo che pur avendo influenza sulla storia , non viene sconvolto da singoli accadimenti, ma da una serie di circostanze che nel tempo portano ai mutamenti, come è sempre stato. Dopo la pandemia, la crisi economica e la guerra in corso, ci sarà il tema del clima e del rischio del nostro pianeta col suo mutamento, vedremo come ne uscirà l’arte, sempre che rimanga il genere umano e con esso anche l’arte.

L’idea del libro nasce in un contesto storico in cui la cultura per il femminismo iniziava ad avere una voce più potente. E questo volume ha il merito di aver portato alla luce artiste che barriere sociali, culturali nonché istituzionali hanno tacitato. È’ ancora così secondo lei? Il problema “di genere” persiste anche nel campo dell’arte?
Parliamo di problemi di genere? Beh, certo i tempi sono cambiati, soprattutto rispetto a quelli di cui ho trattato io. Oggi, per uscire allo scoperto, le artiste non hanno più bisogno di un padre o di un fratello che gestiscano una bottega d’arte. Oggi camminano da sole, a testa alta, con coraggio e determinazione. Qualche volta emergono. Nei confronti degli uomini restano spesso un po’ indietro, non per inferiorità, ma perché la famiglia – i figli in particolare – assorbono tante energie, e limitano la libertà di movimento. La mamma è un “mestiere” esclusivo, ma è il più bello.
Negli ultimi anni c’è stata una progressiva crescita di attenzione per le donne artiste, anche sul mercato. La Biennale di Venezia appena apertasi ce lo conferma.

Qual è lo stato dell’arte oggi a Reggio Emilia?
Reggio non può essere un’isola felice preservata dai molti e gravi limiti che pervadono il sistema dell’arte (artisti, collezionisti, gallerie, azione degli enti pubblici, organi di comunicazione e modalità di diffondere le esperienze artistiche). Sono pochi coloro che sono capaci di camminare sulla strada che sentono “propria” per ciò che vogliono esprimere, senza correre dietro a sirene e mode.

Per quando concerne l’archiviazione, la documentazione, oggi si tende alla “smaterializzazione” del passato attraverso le tecnologie, il digitale. Pensa che il materiale cartaceo sia assolutamente da difendere per una corretta e puntuale conservazione della memoria?
Pensare che carta e libri possano essere superati è una assai poco lungimirante previsione, già caduta di fronte alla dura lezione della realtà.

Cito una famosa frase dell’artista messicana Frida Kahlo e la decontestualizzo, grazie alla sua capacità di prestarsi a svariate interpretazioni:Non fare caso a me. Io vengo da un altro pianeta. Io vedo orizzonti dove tu disegni confini“. I confini, oggi, sono delimitati da muri, violati da carri armati, attraversati per mare e per terra da chi è in cerca della salvezza. Le chiedo: in tempo di guerra cosa può fare l’arte? Può aiutare?
In questi tempi tragici, come in ogni periodo storico, anche quelli segnati da una pace che in realtà mai è stata condizione duratura di vita, l’arte può aiutare in tanti modi: smuovere le coscienze, comprendere l’inaccettabilità dei soprusi e delle sofferenze, coltivare la tensione verso un mondo dove si possa vivere accanto a ciò che ci fa scoprire la nostra interiorità e vedere le bellezze che ovunque ci circondano.
Frida Kahlo scrive:” …io vedo orizzonti dove tu disegni confini…”. Come sono attuali le parole di questa artista straordinaria! Mi viene agli occhi l’immagine di Papa Francesco, addolorato dai tempi nefasti che stiamo vivendo, dalla pandemia, dalla guerra (dalle guerre), dalla follia – anche questa – pandemica. Per fortuna c’è il mondo dell’Arte, ci sono le nostre artiste che, come scrive l’autore anonimo del “Triumpho di Reggio” “… Il valor, le virtù, le gran bellezze, celesti e sol, delle Reggiane io canto, e il bel splendor, e l’ alte gentilezze…”.

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