19 Marzo 2016

UNO, NESSUNO E CENTOMILA – Philip Roth

Philip Roth
[Newark, 19 marzo 1933]

Roth Scatenato
di Claudia Roth Pierpont

 

Roth Scatenato

 

 

“Noi lavoriamo nelle tenebre…
facciamo quello che possiamo…
Diamo quello che abbiamo…
Il dubbio è la nostra passione e la passione è il nostro compito.
Il resto è la follia dell’arte”

Henry James

 

Credo che dovremmo leggere solo quei libri che ci mordono e ci pungono. Se il libro che stiamo leggendo non ci scuote con una botta in testa, cosa lo leggiamo a fare?” dice Nathan Zuckerman, il più grande dei pionieri dell’io di Philip Roth, citando la lettera di Kafka indirizzata a Oskar Pollak. Un consiglio e un monito ampiamente soddisfatti dalla lettura dell’intera produzione letteraria dello scrittore americano il cui annuncio, nel novembre del 2012, della sua ufficiale uscita di scena segnò la fine di un’era.
Più nessuno scandalo, nessuna accusa di indecenza, di antisemitismo, di misoginia, di solipsismo e autoreferenzialità ossessiva. Più nessuna nuova avventura di o raccontata e mediata da Nathan Zuckerman, David Kepesh, Alexander Portnoy, Philip Roth, Mickey Sabbath. Più nessuna incursione della “libertà accordata alle maschere” (la Maskenfreiheit di Heine), dei suoi alter ego, delle sue controfigure finzionali.
Notoriamente riconosciuto quale scrittore autobiografico, Philip Roth sull’ambiguità tra finzione e realtà, sullo scambio tra queste e su quello tra vita e arte ha eretto, infatti, la sua intera letteratura, conscio dell’importanza della dissimulazione ai fini della libertà letteraria, sino a far divenire, talvolta e scientemente, indistinguibili il sé privato dal sé autoriale.

Il tuo strumento per scandagliare spietatamente dentro di te, lo strumento per confrontarti sinceramente con te stesso, sono io.” (Zuckerman a Roth ne “I Fatti”)

I suoi eroi seriali e i suoi cantastorie, tuttavia, rivivono in “Roth scatenato. Un autore e i suoi libri”, una biografia e, inevitabilmente, una genesi ed un’esegesi delle sue 31 opere.
Una descrizione del mondo scritto di e da Roth imprescindibile dal mondo non scritto.
Un libro “sulla vita della sua arte e inevitabilmente sull’arte della sua vita”, dunque.
Scritto da Claudia Roth Pierpont (“siamo stati sposati per caso?”), scrittrice e giornalista del New Yorker, “Roth scatenato” (Einaudi) è il frutto di circa dieci anni di frequentazioni, di conversazioni e di compulsazioni della “voce americana”, delle sue carte, dei suoi documenti e dei suoi libri, attraverso cui l’autrice, che nutre un’evidente ammirazione per “l’oggetto” del suo studio (con il quale non condivide alcun legame di parentela), ma che, tuttavia, non lesina in critiche ad anelli (raramente) deboli, lucidamente ricostruisce la trama del romanzo (perché di ciò si tratta) della vita di Roth e la nascita delle sue pagine.
Egli, infatti, contravviene all’avvertimento della citazione di Flaubert, da lui tanto amata da riportarla sovente anche nei suoi scritti: “Nella tua vita sii regolare e ordinario come un borghese, così da poter essere violento e originale nella tua opera.” È scatenato, infatti, Roth, la biografia ne è eloquente conferma, al pari della potenza mesmerica delle righe partorite dalla sua penna.
Delineando l’identità deliberatamente sfuggente di colui che, meritoriamente, è stato definito come il più grande scrittore vivente, l’autrice intende svelare l’effettiva natura biografica delle sue opere nascendo esse sempre da “un germe di ordine personale” oltreché  intellettuale. Risultato, questo, anche di numerose influenze letterarie.
I suoi libri” del sottotitolo della “bio-bibliografia“ possono avere, infatti, una doppia chiave di lettura riferendosi anche ai numi tutelari letterari che formarono Roth pubescente ed anche ai quasi coetanei con i quali instaurò, adulto, in taluni casi, un rapporto di amicizia. Espressione tutti, comunque, dell’ampiezza dell’escursione narrativa.
Come non menzionare, per prima e a onor di cronaca, Maggie Williams «(il matrimonio letterario più devastante, doloroso e duraturo dal punto di vista degli effetti dopo quello tra Scott e Zelda), “nientemeno che l’insegnante di creative writing più grande di tutti, la specialista par exellence nell’estetica della fiction più estremista” (…) La forza che lo liberò dalla noiosa innocenza dei suoi primi racconti e dall’elegante probità di Henry James.»
Affascinato dalle “voci”, il primo libro che acquistò fu la sceneggiatura di On a Note of Triumph, il  programma più famoso di Norman Corwin, il poeta laureato della radio.  Dos Passos fu come un “incantesimo”.  A Thomas Wolfe, il suo primo eroe letterario e definito, ancora oggi, un “mezzo genio” per l’effetto potente del “puro struggimento per un’esistenza epica americana“,  per il linguaggio dirompente e per la taglia dei personaggi, deve la sua definitiva dedizione alla letteratura: “non tanto intesa come bella scrittura, precisa, quanto come espressione di appetito, ricerca e libertà.”
Salinger fu, invece, il principale responsabile dell’imbarazzante “sensibilità” dei suoi primi racconti, mentre Saul Bellow, “un genio a tutto tondo”, il grande liberatore dai tradizionali limiti letterari sugli ebrei, e Bernard Malamud, “maestro delle piccole tragedie ravvivate da un’altrettanto amara comicità compensatoria” e artefice di un’arte nuova, “un mucchio di ossa verbali rotte che prima di allora nessun autore serio aveva mai creduto utilizzabili”, gli insegnarono la lezione più importante: la possibilità per uno scrittore ebreo di generare una letteratura moderna e piena di vita parlando di ebrei e, soprattutto, la trasformazione della loro esperienza in letteratura americana.
E proprio dalle “quattro tigri della letteratura ebraico-americana”, ossia Saul Bellow, Alfred Kazin, Irving Howe e Leslie Fiedler, agli albori della carriera Roth ottenne l’imprimatur essendo una “voce forte e una prospettiva fresca, un proseguimento naturale della saga degli ebrei americani di cui essi facevano parte.”
E ancora, Hemingway, Mann, Conrad, Kafka, Céline, Genet, Gombrowiez, Fitzgerald, Turgenev, Updike, “altro monumento americano” per l’interiorità dei personaggi, e Faulkner, (Mentre morivo è il miglior libro americano della prima metà del 900).
La frequentazione con i figli di Kafka, gli impubblicabili, del periodo praghese, coincise con la fase di autorinnovamento (“Volevo vedere la città di Kafka e per caso mi imbattei in qualcosa di più importante”). “Una combinazione tra un pugile e una pantera”, Milan Kundera lo colpì per il suo forte magnetismo, ma anche Ivan Klíma, Ludvík Vaculíc, Miroslav Holub, Rita Klímová. La vera Praga letteraria.
A Roth si deve la collana Writers from the Other Europe (Scrittori dell’altra Europa) che vide la luce negli Stati Uniti a partire dal 1974.

Gli autori dell’Est Europeo «rivelavano un’importante dimensione della letteratura che in America passava sotto sordina (…) Un rapporto distaccato con il realismo o meglio una “ricchezza della vena eccentrica” (…) Il realismo americano è una fonte generosa, e io lo apprezzo molto: ci ha regalato Bellow e Updike. Solo che come fatto letterario lo diamo per scontato.” “Gli scrittori dell’altra Europa” offrivano invece una prospettiva diversa, talora capovolta, che discendeva da Kafka pure là dove, come nel caso di Kundera, lui coglieva tracce anche della sua altra grande divinità letteraria: Cechov.  (…) “Satira, svago, divertimento, erotismo, vulnerabilità, un’aria di straordinario candore che in un qualche modo sconfina nell’indecenza”: ecco alcune delle qualità che Roth trovava in Kundera e colleghi. Inutile stupirsi del senso di affinità che ciò gli trasmetteva, un po’ come se avesse scoperto dei fratelli mai incontrati prima.»

Dagli ebrei in America e nella storia, alle donne, al sesso e all’amore e al sesso senza amore, dal tormento e dalle ordalie coniugali all‘esigenza di trasformazione e di senso, dal potere del desiderio, della lingua e del paesaggio al processo analitico, dalla famiglia, dai vincoli dell’educazione ebraica, dal rapporto genitori e figli alla trappola dell’ego e a quella della coscienza, dagli ideali americani e dal loro tradimento al crollo delle utopie e alle proteste degli anni Settanta, dalla politica alla violenza della storia che irrompe nella vita dell’uomo comune, dalla questione israelo-palestinese ai misteri dell’identità, dal corpo umano nella sua bellezza e nella corruzione della malattia alle costrizioni imposte dall‘età, all’affievolirsi della memoria e all’approssimarsi di “quel destino che tutti reclama”.
Tutte tematiche, queste, magistralmente trattate da Philip Roth grazie alla sua abilità diegetica e alla sua insidiosa perizia argomentativa e controargomentativa capaci di concretarsi, mediante una prosa ora impietosa, caustica, grottesca, dissacrante, ora smascherata, nuda e lirica, in memorabili capolavori.
La Roth scrittrice nella disamina dell’evoluzione di Roth scrittore (impreziosita da suoi commenti “a posteriori”), evidenzia come i personaggi siano cresciuti, maturati e si siano sviluppati trasmigrando da un titolo all’altro (Balzac docet?) nell’inanellarsi delle trame, inciampando  anche in curiosità impreviste come un‘agnizione familiare, potenziale fonte di ispirazione: “Ma pensi a cosa si sono persi i miei libri.”
Quelli scritti, comunque, restano pietre miliari nella storia della letteratura, e nonostante Philip Roth sostenga la superiorità dei libri rispetto ai loro autori in quanto “contengono possibilità, pensieri, emozioni, varietà di saggezza e di follia che, spontanei e imprevedibili, emergono ogni volta dalla scrittura stessa“, il DNA è ineludibile.
Nelle sue 31 opere egli, infatti, «entra in ogni storia attraverso una voce particolare, un particolare sguardo, ma a contare è ciò che tali facoltà comunicano e trasmettono. Negli ultimi libri soprattutto (…) troviamo un’infinita galleria di uomini e donne, e se le luci sono ben piantate nella Newark degli anni della guerra (da qualche parte devono pur avercela una base, no?) il loro raggio spazia però in cielo

  1. Goodbye, Columbus (1959). Il primo “reo non confesso” di antisemitismo, “un autentico riverbero di quella ottusità spirituale che aveva colpito un numero imprecisato di ebrei americani del ceto medio.”
  2. Lasciarsi andare (1962). Jamesiano. Prima sperimentazione di identità diverse per trovare la propria.
  3. Quando lei era buona (1967). Ossessivo. Duro. La devastazione interiore della donna che era stata sul punto di devastare lui.
  4. Lamento di Portnoy (1969). Sovversivo, indecentemente comico. Il librò che lo consacrò al pubblico e alla critica.
  5. La nostra gang (1971). (Parodistica) satira politica contro Nixon .
  6. Il seno (1972). Kafkiano, grottesco, surreale.
  7. Il Grande Romanzo Americano (1973). Romanzo nel romanzo. Sportivo e allitterante.
  8. La mia vita di uomo (1974). Iperbolico, feroce e comico. Psicoterapeutico. Misogino (?).
  9. Reading myself and others (1975).  Tra gli altri, Kafka redivivo e insegnante di Roth bambino.
  10. Il professore di desiderio (1977). Tragedia erotica cechoviana.
  11. Lo scrittore fantasma (1979). Dedicato a Milan Kundera. Benvenuto (vero) Zuckerman.
  12. Zukerman scatenato (1981). Nomen omen. Il “controincantesimo” lanciato da un’opera d’invenzione sulla realtà del suo autore.
  13. La lezione di anatomia (1983). Il dolore e la scrittura.
  14. L’orgia di Praga (1985). … dai taccuini di Zuckerman. Epilogo “ma” prologo della Serie di Zuckerman.
  15. La controvita (1986). Geniale, catartico. « Un’esplosione liberatoria in cui vari brandelli di Zuckerman, per lo più vivo e in salute, vengono sparpagliati di capitolo in capitolo, di vita in vita, di destino in destino». L’equivalente musicale della Sinfonia n. 94 di Haydn, La sorpresa.
  16. I Fatti (1988). Autobiografico? Nostalgico. Il seguito della Controvita, “La mia controvita“.
    “Inventarmi biografie false, storie false, architettare un’esistenza semimmaginaria a partire dal dramma reale della mia vita è la mia vita.”
  17. Inganno (1990). Figlio della Controvita.
  18. Patrimonio. Una storia vera (1991). Aautobiografico. Realmente “smascherato”.
  19. Operazione Shylock (1993). Vorticosa girandola di identità. Solipsistico. “Risolutivo”.
  20. Il teatro di Sabbath (1995). “Cercavo un posto dove farmi seppellire“.

    « Traboccante di vita, di saggezza e di personalità, riesce a dare a esperienze profonde come la morte, i ricordi e lo stare insieme la forza della prima volta, della prima, incredula presa di coscienza. (…) Il primo libro di Roth in cui la storia tiene in pugno i personaggi, li sbatte di qua e di là e li fa a pezzi. »

    «”Si poteva calpestare l’inizio dell’America”. Un bambino se ne sta coi piedi nell’acqua su un’anonima spiaggia del New Jersey, il continente che si stende intero alle sue spalle: Il teatro di Sabbath è il libro in cui Roth riscopre l’America, il mitico e grandioso paese dei principi e delle promesse, l’America della sua infanzia, indissolubilmente legata alla vittoria morale della seconda guerra mondiale. Questo libro è il primo risultato concreto del suo ritorno a casa. (…)
    “Eccomi lì, risprofondato nella vita americana: una cosa meravigliosa”.»

    Trilogia americana.
    (Pastorale americana. Ho sposato un comunista. La macchia umana.)
    Rappresenta “il coronamento di un sogno letterario epico nato dalla lettura di Thomas Wolfe, poi alimentato da quello di scrittori come Dos Passos e Bellow.”
    «A concludere la trilogia è una visione insolitamente pacifista: un paesaggio arcadico e la parola “America”. E poi paura e pericolo, e nessun segno di giustizia. »

  21. Pastorale americana (1997). “La tragedia dell’uomo impreparato alla tragedia. La tragedia di tutti.”
    Un decennio bellicoso dalla forza che “monta fino a tirarti un cazzotto in faccia.”
    “La fantasia della purezza“ rinnovata dalla sinistra radicale pacifista.”
  22.  Ho sposato un comunista (1998). Quando la politica è la grande generalizzatrice e la letteratura è la grande particolareggiatrice.
    La forza matura del “tardo Roth” e “La fantasia della purezza rinnovata dall’estrema destra anticomunista.”
  23. La macchia umana (2000). “Impuro”, un ventaglio di debolezze e comportamenti umani di un’ampiezza senza precedenti.
    La fantasia della purezza rinnovata da tutti i puritani ipocriti.”
  24. Animale morente (2001). Ambizioso, disturbante, “un digestivo a base di erbe amare.”
    Chiude la trilogia di “sogni, o incubi sul sesso”: la trilogia di Kepesh.
  25. Chiacchiere di bottega. Uno scrittore, i suoi colleghi e il loro lavoro (2001). Con autori di cui Roth avrebbe potuto vivere le controvite.
  26. Il complotto contro l’America (2004). “Possiamo essere americani liberi in un paese potente armato fino ai denti, ma l’imprevedibilità della storia è in perenne agguato.”


    Nemeses: Short Novels
    : il quartetto, tutto eros e thanatos, composto da Everyman. Indignazione, L’umiliazione e Nemesi.
    “Ciò che tutte queste storie hanno in comune è il cataclisma. Abbiamo quattro uomini, quattro età diverse e tutti e quattro in ginocchio.”

  27. Everyman (2006). “La vecchiaia non è una battaglia: la vecchiaia è un massacro.”
  28. Il fantasma esce di scena (2007). Umorismo e spietatezza della Fine, del tempo, dei “non più” e dei “non ancora”.
  29. Indignazione (2008). Modestamente ma intensamente “Sotto morfina” e “Non più sotto”.
  30. L’umiliazione (2009). Prosciugato come il suo eroe . “Quanto dolorosamente vulnerabili sono diventati gli uomini di Roth!
  31. Nemesi (2010). Immediato. Schietto. Divinamente il più devastante dei quattro romanzi brevi.

 

C’era la sabbia e l’oceano, l’orizzonte e il cielo, il giorno e la notte…la luce, il buio, la marea, le stelle, le barche, il sole, le nebbie, i gabbiani. C’erano i moli, le banchine, il lungomare, c’era il mare gonfio, silenzioso, sconfinato. Dove era cresciuto lui avevano l’Atlantico; si poteva calpestare l’inizio dell’America […]D’estate la brezza salata e la luce abbacinante; in settembre gli uragani; in gennaio, le tempeste. C’erano gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno, luglio, agosto. Settembre, ottobre, novembre, dicembre. E poi gennaio. E poi un altro gennaio, la scorta dei gennai non finiva mai e dei maggi , dei marzi. Agosto, dicembre, aprile…di’ un mese qualsiasi, e te ne davano a badilate. Avevano l’infinità. E lui era cresciuto a infinità, e mamma…all’inizio erano una cosa sola.”

                                                                                                                                            (Da Il teatro di Sabbath)

«La cantilena delle singole sillabe: la luce, il buio, la marea. L’improvviso spalancarsi del mare, gonfio e silenzioso. I mesi nominati e colorati come in un calendario per bambini. La ripetizione, la noncurante abbondanza. È possibile che dopo Proust nessun altro scrittore fosse mai riuscito ad arrivare così vicino a catturare il Tempo.»

Chi è, dunque, Philip Roth, il funambolo delle identità per cui l’invenzione pare essere l’unico mezzo per arrivare alla verità, il grande investigatore della condizione umana del Novecento (e Duemila)?
Un solipsista? Un ossessivo autoreferenzialista? Un presunto misogino e antisemita?
Se il risultato è quanto ha scritto, nulla importa.
È Philip Roth. Nomen omen.

 

 

Dalla terza di copertina

Claudia Roth Pierpont, scrittrice e giornalista, collabora con il New Yorker dal 1990.
Nel 2000 ha pubblicato Passionate Minds. Women Rewriting the World,
una raccolta di undici ritratti di donne straordinarie.
Ha vinto il Whiting Writers’Award e ha ricevuto una Guggenheim Fellowship.
Ha conseguito un Ph.D in Storia dell’arte italiana del Rinascimento
alla New York University, dove ha anche insegnato.

La traduzione per l’edizione italiana
di “Roth scatenato. Un autore e i suoi libri” è di Anna Rusconi.

 

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