3 Ottobre 2020

Sulle note della follia

Ligabue fandango
di Roberto Barbolini

Us crazy people we reason with the heart”
Jim Morrison

«Prima della guerra, ero in guerra con il mondo intero. Anzi, al contrario: era il mondo che me l’aveva dichiarata. Si erano messi tutti d’accordo per farmi saltare la corrente. Mi tagliavano i fili a poco a poco. Finché è partito l’interruttore, blitz! Sono rimasto al buio, chiedevo aiuto brancolando come un cieco. Quelli m’han preso e mi hanno messo in manicomio. Adesso invece i matti sono loro, s’ammazzano tutti quanti che è un piacere».
Una voce psichedelicamente polifonica, accompagnata da una pioggia anfibia, “proiettili raneschi”, e la voce degli infermieri. Sono rispettivamente prologo ed epilogo di Ligabue fandango, dello scrittore e giornalista Roberto Barbolini, definito “un Fellini della scrittura”.
Un breve romanzo corale, una breve coreografia, quasi lisergica e lombrosiana, danzata sulle note della follia nella Bassa Padana, tra realtà e fantasia picaresca, da uno “stralunato bestiario umano” trasfigurato dalla guerra, fondale della storia. Protagonista è un matto che dipinge animali e che è sempre in sella alla sua inseparabile Guzzi. È Antonio Ligabue, il Liga, al màt, il Cavaliere delle tigri del Bengala, sempre in fuga anche quando dorme e impegnato a combattere con un ruggito – il suo, quello dei suoi animali, quello della sua motocicletta – una guerra insidiosa senza fucili e pistole in un mondo in cui regna la lotta per resistere ed esistere.
Il Mongolo disertore Tamir, la virago Angelica, suo figlio Bilìn, il Ghizzo (“un altro minus habens”), un feroce coccodrillo, l’ambiguo Tenore Fosco alias Lisa Alluminio, la Luna, residenza della Fabbrica Ducale che “inghiotte il mondo intero per risputarlo in forma di piastrella”, sono i deuteragonisti di Ligabue in questo vertiginoso coacervo.

«Zitti, tutti, altrimenti perdo il filo. Volevo dire…che siamo solo microbi. Prendete me e l’Angelica e Bilìn, aggiungete questo anticristo color del zafferano. Be’, a guardarci dall’alto tutti insieme, compreso il plotone dei tedeschi mentre ci fucila, perché di sicuro è così che va a finire, non si capisce neanche cosa siamo. Sembriamo delle rane spiaccicate, piovute lì per caso giù dal cielo e ridotte in poltiglia.
Così, nel mio sentirmi niente, mi torna in mente questo gran fandango di matti dei bei tempi andati, pieno di rumore e di sgrisor di denti, con tutti che scappavano e non ci si capiva niente, tranne il fatto che il Tenore andava a fuoco».

Simbolico e bizzarro, crudo e ruvido, grottesco e comico, eccentrico e ironico come il suo autore, Ligabue Fandango è un libro sulla follia dagli accenti ariosteschi e cervanteschi.
Antonio Ligabue diceva che siamo tutti animali. E in ossequio ad un profondo interesse verso uno degli artisti più geniali del Novecento italiano, al cinema con Volevo nascondermi di Giorgio Diritti; in mostra con Incompreso e con Ligabue & Vitaloni. Dare voce alla natura, rispettivamente a Palazzo Bentivoglio a Gualtieri (RE), sino al 13 dicembre, e a Parma a Palazzo Tarasconi, sino al 30 maggio 2021; ora in libreria con Ligabue fandango nella seconda nuova edizione per Corsiero editore, si troverà riscontro e conferma di quel sentire.

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