26 Maggio 2016

Panico culturale

in Cosmopolis
di Don DeLillo

 

GridoMunch
“Le persone pensano a quello che sono nell’ora più silenziosa della notte. Io porto questo pensiero, il mistero infantile e il terrore di questo pensiero, sento questa immensità nell’anima in ogni istante della mia vita.”

A parlare è Benno Levin, al secolo Richard Sheets. Nel metafisico Cosmopolis (2003) di Don DeLillo, moderna rilettura dell’Ulisse di Joyce, le sue Confessioni si innestano nelle 24 ore di Eric Packer di cui è “minaccia attendibile”.
Egli nasce dai futuri(bili) materiali di risulta di una società iper: -tecnologica, -controllata, -sibillina, -asimmetrica, -globalizzata, e di cui manifesto eloquente è il verso del poeta polacco Zbigniew Herbert “il topo diventò l’unità monetaria“.
Pur avvertendo la propria condizione irrelata, pur udendo gli spasmi agonici di una società alla deriva, Benno Levin non grida munchianamente portandosi le mani alle orecchie, il suo volto non si trasfigura in un ghigno scheletrico agghiacciato dal terrore per l’irrimediabile perdita dell’armonia tra uomo e cosmo. Infatti:
È l’atto di violenza che fa la storia e cambia tutto quello che c’è stato prima. Ma come immaginarsi il momento?”
Lo squilibrio dell’ex dipendente del giovane multimiliardario Packer, analista valutario licenziato dopo essere stato retrocesso perché “non normale”, divenendo mero elemento tecnico secondario all’interno dell’azienda, è da ascriversi in parte ad una sedicente “predisposizione a certe varietà di malattie globali“. Sindromi culturalmente caratterizzate sulla base di ricorrenti fattori connessi all’ambiente psico-sociale in determinate regioni e sulle quali etno-antropologi e psichiatri da tempo dibattono.
“Nel mondo di oggi tutto viene condiviso. Qual è la sofferenza che non può essere condivisa?”Cosmopolis_DeLillo
È questo il contesto in cui si sviluppa la degenerazione di Levin, il suo comportamento aberrante, la sua esperienza disturbante, paranoica come il febbrile delirio pervasivo l’intero romanzo: la totalizzante cultura del mercato.

“La cultura del mercato è totale. Questi uomini e queste donne sono un suo prodotto. E sono necessari al sistema che disprezzano. Gli forniscono energia e definizione. Sono manovrati dal mercato. Vengono scambiati sui mercati mondiali. È per questo che esistono, per rinforzare e perpetuare il sistema.”

Un Sistema che ha emarginato Sheets, ora trincerato dietro un’ideologia anticapitalistica nonostante in passato, per amor di denaro, abbia abbandonato il lavoro di assistente di informatica in un college.
Hwa-byung, attacchi di delirio, susto e koro sono le sindromi di cui soffre.
Panico culturale, essenzialmente. Contratto in internet.
Reprimendo la rabbia, l’omonima patologia, tipica della Corea, lo assale con panico, umore disforico e senso di morte imminente, mentre con taluni abitanti di Haiti e dell’Africa Orientale condivide attacchi di delirio che lo rendono confuso ed esagitato. Il susto bandisce, invece, l’anima dal suo corpo. Psicosi tipica del Centro e Sud America, essa è imputata ad un evento terrorizzante che causerebbe, per l’appunto, la fuga dell’anima gettando in uno stato di tristezza, scarsa autostima, astenia, idiosincrasia per l’igiene e per i rapporti sociali. La potente percezione di retrazione del suo apparato riproduttivo, infine, è la manifestazione del koro, disturbo diffuso nel sud–est asiatico.
Ci sono credenze popolari. Ci sono epidemie che si verificano. Migliaia di uomini in preda a sofferenza e panico“, afferma empaticamente il lombrosiano Paul Giamatti nel Cosmopolis di David Cronenberg, claustrale trasposizione cinematografica (2012) dell’opera letteraria.
Sindromi “reali” . . . . “in Malesia, ad esempio, le cose immaginate assurgono a fatti avendone il tempo e lo spazio.”
Ma “in attesa che lo sparo risuoni” vi è la conferma dell’inconscia presa di coscienza di un’altra devianza del Sistema.

– “Sono diventato un enigma per me stesso – così disse Sant’Agostino – E questa appunto è la mia debolezza.”
È un inizio. È una cruciale presa di coscienza, – disse Eric.
Non sto parlando di me. Sto parlando di te.

 

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