12 Febbraio 2016

Giochi di stile

Esercizi di stile
di Raymond Queneau

 

 

Copertina EserciziDi quella facile, nella sua accezione moderna, e di quella manipolatoria le pagine quotidiane e le parole politiche, abbondano, con il conseguente sterile e stanziale gattopardismo e demagogismo, aporia di concreti problemi, mentre della retorica classica, di quella aristotelica, nella sua primigenia accezione in quanto Arte del dire, spesso ci si dimentica ignorando, talvolta, di farne uso inconsapevole.
Di ispirazione bachiana (strutturalmente) – galeotto fu l’ascolto de L’Arte della Fuga per quell’idea di variazione che sarà indelebile – nonché onirica (contenutisticamente), Esercizi di Stile di Raymond Queneau (Einaudi) è un ludico e virtuosistico esempio di retorica applicata.
“Una delle storie più grandi di tutta la letteratura francese” eretta attorno al lemma “banale” (ossia quanto è non-giornalistico per eccellenza, ma che meriterebbe un’analisi sia diacronica che sincronica) che sviluppa una trama scarna e, per l’appunto, di “sconcertante banalità” declinandola in novantanove (né tanti, né pochi) differenti stili: destrutturando, sclerotizzando la sintassi con aggiunzioni, soppressioni, permutazioni, ripetizioni e sostituzioni di lettere e suoni, di grafemi e fonemi e, dunque, anche di significati. Significato e significante non sempre, pertanto, coincidono negli Exercises.
Gli elementi della trama: un affollato autobus, due uomini, un buffo cappello, un bottone, un cappotto.
Così, all’appello le figure retoriche (non tutte rispondono) dai metaplasmi, come l’anagramma e la sincope, ai metasememi, come la metafora, dai metalogismi, come la litote e l’iperbole, alle metatassi, come la sinchisi e la parechesi (“Un bumerang! A tal buaggine gli bullan le budella e (bufera nel bungalow!) come un bulldog quel bucaneve col bulbo…”). Ma oltre ai tropi l’istrionico autore, che non lesina in malizie al pari di Umberto Eco, il traduttore dell’ultima edizione, spazia nell’universo dei registri comunicativi, benché sempre pervasi dell’ars rhetorica: parodie di generi letterari e scientifici come il sonetto, la poesia tanka, la commedia, il filosofico (“Solo le grandi città possono esibire alla epoché fenomenologica l’essenzialità delle coincidenze temporali a basso tasso di entropia”), l’insiemista, il botanico; “atti linguistici”, come il volgare, il pronostico, la precisazione, l’esclamazione; generi di discorso “comune” come il telegrafico, il maldestro, il disinvolto; i parodistici forestierismi, come i francesismi, gli anglicismi, gli ellenismi (“Sull’iperautodinamico carico di petrolnauti fui martire di un microrama in una cronia di catabasi”).
Queneau scientemente gioca. Gioca e divertendosi diverte. E divertendo stupisce, fedele alla poetica “oulipiana” che nel lettore-attore, qui del gioco enigmistico spinto al parossismo, vuole lo stupore e lo spaesamento, il sorprendente e l’inatteso del codice linguistico quale necessario risultato del divertimento. Dato alle stampe per la prima volta nel 1947, in Italia uscì soltanto nel 1983, Esercizi di Stile si colloca, infatti, tra i numi tutelari dell’Oulipo, il laboratorio di letteratura potenziale di cui Queneau fu uno dei due padri fondatori, che nel gioco ravvisava quella sediziosa e ludica “deriva” sovversiva dei principi di regole e vincoli.
Come numerose sono le declinazioni della trama altrettanto molteplici sono i significati attribuiti nel tempo all’opera: manifesto letterario (antisurrealista), testo politico, didattico nonché comico.
Ma esso prepotentemente si impone anche quale testo di “retorica sulla retorica”, mostrando le manifestazioni della realtà attraverso il linguaggio, mezzo per ironizzare sulle tipizzazioni sociali e psicologiche e potenza liberatoria della parola insita in ognuno.
Un’opera polifonica, quasi con assonanze grammelot, quasi un metalinguaggio per cogliere il faceto e la levità dell’essere.

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