14 Luglio 2021

Un’incendiaria di cuori alla ricerca del graffio narrativo

Incontro con l’illustratrice Sonia Maria Luce Possentini

Sonia Maria Luce Possentini – In Studio ©Daniele Pace

«Avevo trent’anni e tanti sogni che mi premevano il cuore. Mangiavo in silenzio. Una pasta e una fetta di pane nello stanzino che puzzava di muffa e di ferro.
E disegnavo.
Disegnavo di tutto. La porta, la muffa, la fabbrica vuota. Il ferro.
Disegnavo tra una pausa e lo stacco del pranzo.

Disegnavo mondi possibili. Indugiavo a passi storti in quel mondo sognato. Ma muovevo i passi.
Non volevo arrendermi»


Da “La prima cosa fu l’odore del ferro
Sonia Maria Luce Possentini

«Per essere diventata, con tenacia e rigore, una delle voci più alte e interessanti della nostra illustrazione. Per una produzione sempre contrassegnata da qualità e originalità. Per la raffinatezza e morbidezza di un segno capace di entrare in costante rapporto con il testo.»
È questa la motivazione che nel 2017 è valsa il Premio Andersen come miglior illustratore a Sonia Maria Luce Possentini. Ma i premi e riconoscimenti in Italia e all’estero sono tanti. Talento reggiano, schivo, solitario, volitivo, antesignano, sperimentatore, forgiato anche da quella “grande madre di ferro e fuoco” nella quale lavorò per tre anni, Sonia Maria Luce Possentini è pittrice e illustratrice di Albi “per tutti”, nonostante l’Editoria li voglia rivolti all’infanzia e ai ragazzi.
Docente di Illustrazione presso la Scuola Internazionale di Comics di Reggio Emilia, collabora con le più importanti case editrici del settore e il suo nome e la sua mano rappresentano una garanzia consolidata nel panorama internazionale grazie ad uno stile lirico ed evocativo.
Incontrare Sonia telefonicamente significa incontrare una voce gioviale, sicura, pronta al sorriso e al riso, ma che si increspa nel parlare di natura, suo nume tutelare e sua musa ispiratrice che sublima nella maggior parte delle sue opere. Con un eloquio torrentizio e vivace, parla di sé come di una “racconta storie con la matita”, impegnata ad invocare un’intima attenzione ai luoghi e all’innocenza delle piccole cose.
Indicativo della personalità di Sonia Maria Luce Possentini è un libro, ormai consunto, che porta sempre con sé insieme con gli strumenti del mestiere: Dal vulcano al caos di Édith de la Héronnière. Leggere le sue parole sulla natura è, infatti, una necessità che le apre dei mondi.
Preghiera alla Poesia, Antonia Pozzi, Carthusia Edizioni

Domanda d’obbligo. Come è nata la passione per l’illustrazione divenuta poi la tua professione? Inizialmente avresti voluto fare la restauratrice.
Infatti. Gli studi intrapresi e la borsa di Studio della Fondazione Magnani Rocca erano legati al restauro. Purtroppo sono nata in un momento apparentemente propizio ma rivelatosi un grande flop e mi sono, così, ritrovata ad avere una doppia laurea ed una situazione italiana che non mi permetteva di metterla in pratica. È andata, comunque, ugualmente bene perché la mia formazione mi ha permesso di trovare altre strade e di avere sempre le mani in movimento.

Qual è stato lo switch che ti ha portata sulla strada dell’illustrazione?
Durante il periodo della borsa di Studio della Fondazione Magnani Rocca venni a conoscenza della Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna. Scoprii, così, un mondo bellissimo, pieno di grovigli e nacque in me la necessità di narrare attraverso le pagine di un libro, non rivolgendomi soltanto ai bambini. Era una urgenza di sviluppare una narrazione da regista, quindi, quasi cinematografica che, in sostanza, è l’attività di un illustratore davanti ad un testo.

L’alfabeto dei sentimenti, Janna Carioli, Fatatrac Editore

Come ti rapporti con il testo col quale devi lavorare?
In genere è l’editore a cercarti proponendoti un racconto che, in base alla tua cifra stilistica, potrebbe essere nelle tue corde. Se quando leggo visualizzo già le immagini significa che è un lavoro fattibile. Poi ci sono casi come L’alfabeto dei sentimentiche mi ha fatto conoscere al grande pubblico e che nasce da una mia esperienza nelle zone terremotate del modenese dove mi ero recata per prestare aiuto. A contatto con bambini e adulti durante l’attività laboratoriale ho capito che un evento sconvolgente ci cambia l’alfabeto. È nato, allora, un alfabeto emozionale che è assurto a potente cassa di risonanza, perché evidentemente ce n’era bisogno. L’illustratore è una sorta di sociologo, sta dentro gli eventi.

È importante, dunque, trattare anche temi “scomodi”.
Confrontandomi molto con l’estero ho riscontrato una difficoltà dell’Italia ad uscire da un concetto molto edulcorato delle storie rilevanti in senso civico. Il volo di Sara (racconto ambientato in un campo di concentramento, ndr) è un libro coraggioso del quale sono molto orgogliosa. Il grande Alberto Innocenti si esprimeva in maniera molto più soffice. Io, invece, accompagnando spesso i ragazzi nei campi di Terezìn e di Birkenau, ho preferito riportare la storia in modo differente.

Lavorare a “Il volo di Sara”, utilizzato anche nelle scuole primarie, è stato emotivamente pesante?
Una scuola, lavorandoci per un intero anno, ha anche vinto il Premio UNICEF.
È un libro che è uscito con tantissime ristampe ed è stato acquistato anche a Taiwan. All’inizio c’era timore e tuttora qualcuno lo rifugge. Ma se noi conosciamo il male possiamo evitarlo. Spetta a noi adulti preparare il cuore, e non il 27 gennaio, ma nell’arco di un tempo per aprire i bambini a questa Storia con la S maiuscola. Da piccola odiavo chi mi raccontava bugie, anche nei libri. I bambini vedono più degli adulti, ma noi tendiamo ad un’iperprotezione che edulcora, che nasconde. Inizialmente la difficoltà è stata approcciarmi ad una realtà che mi toccava personalmente. Mio nonno è stato deportato a Dachau e da bambina mi ha raccontato la storia, ovviamente con tutto l’amore possibile. Non lo scorderò mai, non per la tragicità, ma per la lealtà. Ho cercato di trasporre le sue parole nei disegni  del racconto. Chiaro è che per i bambini il finale è stato lasciato aperto ad una libera interpretazione, come per Il sogno di Youssef di Carmelozampa che segue sempre un iter legato alla morte. La morte fa parte della vita ed è importante che i bambini siano educati alla sua esistenza. In Francia, in Germania, in paesi del Nord c’è una maggiore e diversa preparazione. La nostra scuola è affaticata e – condividendo il pensiero di Galimberti – fomentata da genitori assenti. E questo è il veleno che ha intossicato tante cose.

Il volo di Sara, Lorenza Farina, Fatatrac Edizioni

Sei un’interprete delle parole, delle parole di una storia e della Storia. Pur rimanendo fedele al testo ti concedi una tua libertà?
È assolutamente necessaria. In un albo illustrato autore e illustratore devono lavorare all’unisono e non si può interferire sull’operato dell’altro. L’illustratore per lasciare l’impronta non deve essere didascalico, ma deve interpretare le parole, evocarle, esaltarle. È come uno spartito musicale per cui nell’esecuzione del concerto una nota stonata si sente. Tra i tanti problemi in Italia, figura anche quello della scarsità di racconti pregnanti e spesso le mie immagini sovrastano il testo. Sono felice quando tutto è in assoluto equilibrio.

Che rapporto c’è, quindi, tra parola e immagine? Una è più eloquente dell’altra?
Ho realizzato il libro Nel bianco con Vivian Lamarque, una delle più grandi poetesse italiane viventi. Le immagini hanno anticipato il testo e lei stessa mi ha espresso la sua difficoltà avendo timore di sporcare con l’inchiostro i miei disegni. A detta dei critici, degli addetti ai lavori, tra i tanti bellissimi testi di Vivian questo era, infatti, più debole.

Nel tuo nome c’è un elemento fondamentale declinato nel tuo lavoro con grande maestria: la luce.
È il mio secondo nome. Maria è stato voluto dalla Chiesa. Luce era l’ostetrica del paese dove sono nata. Era molto legata alla mia famiglia. Ha aiutato a partorire mia nonna, poi mia madre.
È un nome che da bambina era oggetto di derisione a causa di facili battute, ma che ora difendo moltissimo.
La luce è un elemento alla base della realtà. Ma senza ombra non c’è luce. Il mio lavoro, quindi, credo che si legga in entrambe le direzioni. Forse è quasi più importante l’ombra della luce.

La luce è, comunque, una postura che tu hai verso la vita?
Assolutamente sì. Sono un’eterna inquieta, in continua ricerca e affanno. Descrivo l’importanza della vita in ogni cosa. La natura è la dimensione nella quale cerco di vivere il più profondamente possibile. Natura che ho sempre difeso, sin da bambina. È stata la mia compagna di giochi.

La natura è, infatti, la tua musa ispiratrice. Che rapporto hai con lei?
Di grande rispetto e soprattutto di giusto timore. Sento che è immensa in tutte le sue forme. Sin da bambina lei stessa mi ha abituata a mettere al riparo le formiche. Questo è ciò che cerco di fare emergere e ultimamente l’editoria è stata molto attenta facendomi illustrare libri indispensabili come La natura sa quasi tutto del poeta Alberto Casiraghy. E poi l’ultimo lavoro sulla Resistenza, dedicato a mio zio Giovanni: un albo dove il paesaggio è predominante perché tutto ciò che rimane della Resistenza ora è soltanto qualche ceppo scorticato e per il resto è paesaggio.

La natura sa quasi tutto, Alberto Casiraghi, Carthusia Edizioni

In “Poesie di luce” c’è una dedica ad una luce molto speciale…
Mia madre. È il mio faro. Mi ha sempre, sempre, sempre sostenuta nel difendere il mio modo di esprimermi. Non mi ha mai spinta a cercarmi il cosiddetto posto di lavoro fisso, sicuro. Facendo l’insegnante di illustrazione vedo tantissime persone castrate da questo luogo comune nel quale, forse, siamo stati ingarbugliati negli anni Ottanta quando c’è stata un’involuzione pazzesca. Sì, lei è il mio faro… da sempre.

Poesie di luce, Sabrina Giarratana, Motta Junior

In cosa consiste la tua tecnica?
Troppo spesso il mio lavoro viene declinato a fotografia, cosa che sinceramente mi disturba.
L’inquadratura, con i suoi tagli particolari, per me è fondamentale e l’ho appresa dai grandi maestri della cinematografia. Ho stravolto, così, il concetto dell’illustrazione tradizionale dell’epoca e l’editoria inizialmente ne fu impaurita. Il concetto di fotografia è presente nel mio lavoro filtrato dalla suggestione del Dagherrotipo, una scatola magica sensibile alla luce, che riproduce immagini polverose. Utilizzando carte satinate molto resistenti, pigmenti naturali, acquerelli, pastelli e spugne riesco a ottenere quell’immagine “sedimentata” che amo. Poi, sì, ricorro anche agli scatti fotografici per cogliere dettagli, ad esempio, per studiare l’anatomia in movimento.

Parli spesso della presenza della memoria nei tuoi lavori. I paesaggi polverosi rimandano anche alle atmosfere della Pianura Padana. Quanto sono presenti le radici nei tuoi albi?
Ogni mio lavoro possiede dentro un seme legato alla mia terra. Ho realizzato, ad esempio, Poesie nell’erba praticamente qui sulle colline modenesi dove vivo, durante il periodo del confinamento. Sono fortunata, i boschi mi circondano.

Nelle tue illustrazioni il bianco e il nero ricorrono spesso. Il motivo?
Tecnicamente parlando il bianco è la somma di tutti i colori e per formare il nero occorre unire tutti  i colori. Per quanto riguarda la scelta dipende anche dall’argomento, si veda ad esempio Il pinguino senza frac. Credo moltissimo nella potenza del bianco e del nero, molto più che nei colori.
Il grande fotografo Mario Dondero diceva che la guerra non poteva essere descritta a colori. La mia scelta cromatica non è mai casuale, i colori devono avere una loro memoria. Infatti, pulisco pochissimo pennelli e tavolozze, dove potrebbe esserci una tinta non più riproducibile fedelmente.

Nel 2017 hai ricevuto il Premio Andersen come migliore illustratrice italiana. Cos’ha significato? Un punto di arrivo o pensi che non si arrivi mai?
È stato un premio molto inaspettato. Mediaticamente l’impatto è stato enorme e per me ha significato la conferma che potevo spingere sull’acceleratore. Mi è stata riconosciuta tantissima tenacia, nata da un bisogno interiore di emergere, una sorta di rivalsa. Io sono una combattente di fatto, sono la nipote di un martire partigiano, sono una garfagnina. Ogni volta, quindi, è una sfida. Alzo sempre l’asticella, per un bisogno mio. Il bello deve ancora venire. L’orizzonte che ho nel cuore in questo momento è l’Appennino che è come una ferita. Lo vedo completamente abbandonato e relegato a parco giochi. Vorrei riempire le piazze di questi piccoli borghi dimenticati e farli vivere. Un sogno da Don Chisciotte…

Il pinguino senza frac, Silvio D’Arzo, Corsiero Editore

Come definiresti la tua poetica? Trovo sia molto sensibile, empatica. Hai un piglio molto deciso, determinato e una mano molto lieve…
Sono felice che questa riflessione  stia emergendo. Fondamentalmente sono una persona molto fragile, ho raggiunto una sensibilità estrema e complicata che mi può bloccare. Quando vedo che la natura soffre, soffro anch’io e mi sento impotente. Quindi, quello che disegno è quello che vorrei.

La tua poetica è lo specchio di ciò che tu vorresti, quindi?
Sostanzialmente sì. Non vorrei fosse fraintesa questa sorta di melanconia di memoria. Io sono ancora un’incendiaria e non un pompiere. Voglio incendiare più cuori possibili da qui a quando la vita me lo permetterà. E, quindi, per farlo utilizzo la mia conoscenza e la mia sensibilità. Non mi sento mai arrivata. C’è ancora troppo da fare per fermarmi.

Che futuro ha il mondo dell’illustrazione?
Sono molto spaventata per la compulsività che prima apparteneva solo all’editoria per adulti e che ora sta coinvolgendo quella per ragazzi. Ora tutti vogliono scrivere, illustrare , aprire una casa editrice. C’è molta confusione all’orizzonte.

Hai mai pensato di disegnare un Graphic Novel?
È il mio sogno, il mio prossimo obiettivo. I due libri editi da Rrose Sélavy La prima cosa fu l’odore del ferro, in cui racconto la mia esperienza in fonderia, e Nome di battaglia Nero, dedicato a mio zio Giovanni, avrebbero dovuto avere quella veste. Poi il destino ha deciso diversamente. Comunque posso dire: lavori in corso. Sono sempre a cavallo tra l’illustrazione per l’infanzia e quella per gli adulti, perché non dovrebbe esistere questa classificazione molto marcata, invece, in Italia. Gli albi illustrati sono per tutti.
Alice diceva: “A chi non piacciono le figure?”.

La prima cosa fu l’odore del ferro, Sonia M. L. Possentini, Rrose Sélavy
Nome di battaglia Nero, Sonia M.L. Possentini, Rrose Sélavy Editore

C’è un libro al quale sei più legata?
Farei torto a tutti gli altri e anche a me stessa scegliendone uno, considerate tutte le battaglie e la fatica per portarli a termine. Dico sempre: quello che devo ancora fare. Gli ultimi quattro libri da poco usciti rientrano molto nelle mie corde: Nome di battaglia Nero, Poesie nell’erba, La fioraia di Sarajevo, La natura sa quasi tutto pubblicati da Carthusia, una casa editrice con la quale sto lavorando intensamente  e per la quale seguo una collana di poesia al femminile.

Tu e la poesia?
Da ragazza è stato il primo incontro con la lettura. La poesia è fare, lo dice la parola stessa. Mi trasmette quel senso di libertà al di la della propria gabbia che è la pagina. Ha una capacità sia di sintesi sia introspettiva in cui mi trovo veramente a mio agio.

Poesie nell’erba, Sabrina Giarratana, Animamundi Editore

Il momento storico pandemico che stiamo vivendo ha influenzato il tuo modo di disegnare, di lavorare? La luce c’è sempre?
Non è cambiato nulla. Noi illustratori siamo abituati a lavorare in solitaria. Una solitudine ovviamente voluta. Io sono una solitaria di testa e di fisicità, alla ricerca della solitudine sana e costruttiva. Ho continuato a decantare il calore della natura che in quel momento stava prendendosi grandi rivincite… ovviamente parteggiavo per lei. È un periodo che rimpiango, sotto certi aspetti. L’uomo con gli spaventi dovrebbe trarre insegnamenti. Tuttavia, come diceva Pasolini, la nostra è una società malata e lo è al punto di non accorgersi di ciò che stava accadendo. Ma la luce, sì, lei c’è sempre.

Nuovi progetti?
Dal 16 al 20 giugno sono stata una delle protagoniste del Festival del Racconto che si è tenuto a Carpi, Novi, Soliera e Campogalliano. Tra le tante iniziative è stata presentata una mia pittura murale nel Castello dei ragazzi di Carpi che esalta la casa dell’albero di Luzzati, un murale già presente, e che raffigura un’allegoria della spensieratezza dell’infanzia.
È stata, poi, inaugurata, nella Sala Estense di Palazzo dei Pio, “Di natura e di luce”, una mia retrospettiva dall’atmosfera eterea con elementi naturali in cui si immergono le figure quasi irreali dei bambini.

E poi… si continua a lavorare. Sono una viscerale alla ricerca di una narrazione che abbia il graffio dentro.

Sonia Maria Luce Possentini – In Studio © Daniele Pace
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