Il gatto Blu non c’è più. O forse sì
“Street Art – Banksy & Co. L’Arte allo stato urbano“
Alla voce di Wu Ming, il collettivo di scrittori della sezione bolognese del Luther Blissett Project, lo street artist Blu ha affidato la comunicazione ufficiale (riportata integralmente in calce) del proprio dissenso e della propria defezione dalla mostra “Street Art – Banksy & Co. L’Arte allo stato urbano” che inaugurerà a Bologna a Palazzo Pepoli (sede del Museo della storia della città) il 18 marzo.
Nel tempo in cui in Italia è in costante aumento l’interesse verso questa espressione artistica e sempre più numerose sono le gallerie d’arte specializzate, occorrerebbero maggior trasparenza, chiarezza e coerenza: se da un lato Bologna criminalizza, processa e multa graffiti e giovani writers in nome del decoro urbano, dall’altro “si autocelebra come culla della street art e pretende di recuperarla per il mercato dell’arte.”
Recuperarla anche asportando dai muri degli edifici le opere degli artisti più quotati, talvolta senza la loro autorizzazione, trincerandosi dietro l’acclarato obiettivo di “salvarle dalla demolizione e preservarle dall’ingiuria del tempo.”
L’artista marchigiano Blu ha preceduto le squadre di tecnici incaricati e, supportato dagli occupanti dei centri sociali XM24 e Crash, ha segnato alcune sue opere dello stesso destino spettato ad un suo murale di Berlino. Oscurato, cancellato, in quanto all’interno di un quartiere oggetto di riqualificazione e destinato a residenza per ceti abbienti. A Bologna le parole di congedo sono quelle dello scrittore Pino Cacucci: sulla maschera di vernice grigia opaca che ora ricopre l’intera facciata di un edificio campeggia, infatti, un estratto del suo romanzo “In ogni caso nessun rimorso”, storia di Jules Bonnot anarchico francese del secolo scorso. Accanto, un altro messaggio: “il gatto Blu non c’è più.”
E cosa resta, dunque, di questa arte se istituzionalizzata, privatizzata, musealizzata?
Risulta, forse, snaturata, “imbastardita” e, volendo suo vettore comunicativo la strada, la sua anima sediziosa, anarchica e libera risulta espunta.
Da arte allo stato urbano ad arte allo stato “da camera”?
Ma a coloro che si oppongono al Sistema culturale imperante, a coloro che ritengono la mostra Street Art. Banksy & Co. “il simbolo di una concezione della città che va combattuta, basata sull’accumulazione privata e sulla trasformazione della vita e della creatività di tutti a vantaggio di pochi”, fanno da contraltare artisti come Blek le Rat (al secolo Xavier Prou) che in una recente intervista si è espresso a favore dell’arte di strada “al chiuso”.
Tuttavia, tra le quasi 300 opere e documenti esposti a Palazzo Pepoli, purtroppo (considerando il suo credo) o per fortuna (considerando i promotori della mostra e tutti i suoi futuri visitatori), Blu pare che sarà presente. È certa, infatti, la paternità di due graffiti “provenienti” dalle Ex Officine Casaralta. Vi saranno, inoltre, Banksy, Ericailcane, Invader, Dran, Angela Davis, Os Gemeos, Obey, Ron English, su serrande, muri, pietre, assi di legno, cartoni, molti concessi dal Museo della Città di New York (come la collezione donatagli nel 1994 dal pittore statunitense Martin Wong), dal MuCem di Marsiglia ed anche da collezionisti privati.
Nata dalla “volontà di avviare una riflessione sulle modalità di salvaguardia, conservazione e musealizzazione delle esperienze artistiche urbane”, la mostra si domanda (anche se pare essere già in possesso della risposta) quale ruolo il museo possa svolgere e si pone come necessario obiettivo la ridefinizione delle politiche culturali nello spazio urbano trattandosi di “esperienze artistiche – oggi più di ieri – che influenzano il mondo della grafica, il gusto delle persone, l’Arte intera di questo secolo.”
Essendosi affermata, dagli anni ottanta a oggi, come punto di riferimento della street art a livello europeo, la città Felsina con “Street Art. Banksy & Co” intende, pertanto, raccontare la sua evoluzione, la sua spettacolarità e il suo valore culturale.
Prodotta e organizzata da Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Genus Bononiae. Musei nella città, di cui presidente è il professore Fabio Roversi-Monaco, e Arthemisia Group, l’esposizione è curata da Luca Ciancabilla e Christian Omodeo.
Street Artist #Blu Is Erasing All The Murals He Painted in #Bologna
Action against the rich and powerful who take street art off the street.
Dal blog Giap di Wu Ming
Il 18 marzo si inaugura a Bologna la mostra Street Art. Banksy & Co. – L’arte allo stato urbano, promossa da Genus Bononiae, con il sostegno della Fondazione Carisbo. Tra le opere esposte ce ne saranno alcune staccate dai muri della città, con l’obiettivo dichiarato di «salvarle dalla demolizione e preservarle dall’ingiuria del tempo», trasformandole in pezzi da museo.
Il patron del progetto è Fabio Roversi Monaco, già membro della loggia massonica Zamboni – De Rolandis, magnifico rettore dell’università dal 1985 al 2000, ex-presidente di Bologna Fiere e di Fondazione Carisbo, tuttora alla guida di Banca Imi, Accademia di Belle Arti e Genus Bononiae – Musei della Città.
Il nome di Roversi Monaco, più di ogni altro nella storia recente di Bologna, evoca la congiuntura di potere, denaro e istituzioni, con la repressione che li accompagna. Ai tempi delle celebrazioni per il Nono Centenario dell’Ateneo cittadino rifiutò qualunque dialogo con gli studenti che protestavano per i costi della festa. Alla cerimonia di inaugurazione, nell’aula magna di Santa Lucia, la polizia tenne i contestatori fuori dalla porta. Il gran galà si concluse con 21 denunce a carico dei manifestanti. Era il 1987. Tre anni dopo, per le occupazioni della Pantera contro la Legge Ruberti che apriva l’università ai finanziamenti privati, le denunce furono 127.
Niente di strano, allora, nel vedere Roversi Monaco dietro l’arroganza piaciona di curatori, restauratori e addetti alla cultura, che con il pretesto dell’amore per l’arte di strada trovano un’occasione di carriera, mettendo a profitto l’opera altrui.
Non stupisce che ci sia l’ex-presidente della più potente Fondazione bancaria cittadina dietro l’ennesima privatizzazione di un pezzo di città. Questa mostra sdogana e imbelletta l’accaparramento dei disegni degli street artist, con grande gioia dei collezionisti senza scrupoli e dei commercianti di opere rubate alle strade.
Non stupisce che sia l’amico del centrodestra e del centrosinistra a pretendere di ricomporre le contraddizioni di una città che da un lato criminalizza i graffiti, processa writer sedicenni, invoca il decoro urbano, mentre dall’altra si autocelebra come culla della street art e pretende di recuperarla per il mercato dell’arte.
Non importa se le opere staccate a Bologna sono due o cinquanta; se i muri che le ospitavano erano nascosti dentro fabbriche in demolizione oppure in bella vista nella periferia Nord. Non importa nemmeno indagare il grottesco paradosso rappresentato dall’arte di strada dentro un museo. La mostra Street Art. Banksy & Co. è il simbolo di una concezione della città che va combattuta, basata sull’accumulazione privata e sulla trasformazione della vita e della creatività di tutti a vantaggio di pochi.
Dopo aver denunciato e stigmatizzato graffiti e disegni come vandalismo, dopo avere oppresso le culture giovanili che li hanno prodotti, dopo avere sgomberato i luoghi che sono stati laboratorio per quegli artisti, ora i poteri forti della città vogliono diventare i salvatori della street art.
Tutto questo meritava una risposta.
La risposta è giunta la scorsa notte e prosegue nella giornata di oggi, durante la quale uno degli artisti che figura suo malgrado nel cartellone della mostra risponde per le strade della città a ciò che si prepara nelle stanze di Palazzo Pepoli.
Blu cancella i pezzi dipinti a Bologna nel corso di quasi vent’anni.
Di fronte alla tracotanza da landlord, o da governatore coloniale, di chi si sente libero di prendere perfino i disegni dai muri, non resta che fare sparire i disegni. Agire per sottrazione, rendere impossibile l’accaparramento.
A dare una mano a Blu ci sono gli occupanti di due centri sociali – XM24 e Crash – che non a caso si trovano lungo la direttrice del canale Navile, là dove ogni forma di partecipazione reale è morta sotto il peso di fallimentari progetti edilizi di riqualificazione e di strumentali emergenze come quelle contro i campi nomadi.
Questo atto lo compiono coloro che non accettano l’ennesima sottrazione di un bene collettivo allo spazio pubblico, l’ennesima recinzione e un biglietto da pagare.
Lo compiono coloro che non sono disposti a cedere il proprio lavoro ai potenti di sempre in cambio di un posto nel salotto buono della città.
Lo compiono coloro che hanno chiara la differenza tra chi detiene denaro, cariche e potere, e chi mette in campo creatività e ingegno.
Lo compiono coloro che ancora sanno distinguere la via giusta da quella facile.
Wu Ming, Bologna, 11-12 marzo 2016 (trentanovesimo anniversario dell’uccisione di Francesco Lorusso)
Street Art – Banksy & Co. L’Arte allo stato urbano
Palazzo Pepoli
Bologna
18 marzo – 25 giugno 2016