30 Aprile 2016

La variabile umana

La ragazza nella nebbia
di Donato Carrisi

 

IncontroDonatoCarrisi

 

La variabile dell’assassino“, quell’elemento imponderabile che i criminologi ascrivono al successo mediatico di un crimine rispetto ad un altro, avrebbe dovuto originariamente intitolarsi l’ultimo giallo di Donato Carrisi virato, poi, definitivamente su “La ragazza nella nebbia (Longanesi).
Nato come sceneggiatura cinematografica (Carrisi sarà il regista), trasposto poi in opera letteraria, è stato pubblicato con un anno di anticipo per l’inquietante aderenza con la realtà, benché lontana sia l’origine del tema trattato.
La notte in cui tutto cambiò per sempre” di Carrisi è figlia, infatti, “dello stesso giorno in cui tutto cambiò per sempre”, il 13 giugno 1981, spartiacque tra il prima e il dopo, segnando l’avvento e l’ascesa incontrollata della cosiddetta “Tv del dolore”.

La giustizia non era più un affare riservato ai tribunali, bensì apparteneva a tutti, senza distinzioni. E in questo nuovo modo di guardare le cose, l’informazione era una risorsa – l’informazione era oro.
Il business aveva preso vita dopo la morte di un povero bambino innocente.
Un crimine poteva dare vita ad un vero indotto. Un delitto ben raccontato generava ottimi risultati in termini di audience e poteva fruttare a un network milioni in sponsor e pubblicità, il tutto con un impiego minimo di mezzi.”

È la nascita della consapevolezza della capacità manipolatoria dei media (“loro stabiliscono i ruoli), impiegati e impegnati scientemente anche per occultare, indirizzare o sviare l’attenzione “altrove”. È la nascita della strumentalizzazione, della spettacolarizzazione, dell’esibizione del dolore con la loro eccessiva narrazione patemica mirante al coinvolgimento dello spettatore nel dramma la cui vittima, laddove figlia, “viene eletta a figlia di tutti. La vittima paga il prezzo della gloria altrui.
È la nascita del processo virtuale, del processo in TV, del reality del processo, dell’accanimento mediatico, protervo e irruente. Ed è la nascita della fagocitante logica dell’infotainment, pervasiva le trasmissioni che, accreditandosi quali TV di servizio e mascherandosi di intenti pedagogici, investigativi e di denuncia la ragazza nella nebbiasociale, ambiscono a informare e “intrattenere” nell’accezione di “imprigionare” il telespettatore all’interno della propria narrazione.
Come imprigiona la narrazione di Carrisi con la sua prosa visiva, in un incessante gioco alternato di analessi e prolessi dove la voce narrante è la medesima, ma “nelle notti in cui tutto cambiò per sempre” diverse sono le prospettive: l’agente speciale, lo psicologo, il sospettato, la vittima, il colpevole. I colpevoli.
La cornice di una valle sperduta delle Alpi è, così, occasione per il perpetuarsi della degenerazione del racconto dei fatti di cronaca nera e giudiziaria, divenuto, oramai, splatter con derive morbose alla snuff movie.
U
n macabro e quasi “pornografico” serial televisivo.
Il circo mediatico, con il suo carrozzone carico di criminologi, psicologi, filosofi, giornalisti, avvocati, turisti dell’orrore, il pubblico stesso, qui ha uno scopo anche “nobilitante”: riabilitare, dopo l’unico fallimento della sua carriera, uno dei suoi più consumati teatranti, l’agente speciale Vogel.
Cinico, vanitoso, egocentrico, accentratore, mistificatore, Vogel è l’idolo dei media dei quali egli si serve non per fare giustizia, ma audience. Lo scopo di un’indagine di polizia è, infatti, la cattura del colpevole non l’accertamento della verità … “nessuno vuole la verità.”
Iena ridens alla ricerca in ogni accadimento del mostro per il suo show, egli è capace di fiutare la variabile dell’assassino (“unico riferimento falso del romanzo”) seguendo, quindi, sempre i casi mediatici, delitti efferati e dal forte impatto emotivo.

« “Ho fatto solo il mio lavoro. Rendere felice il pubblico” disse l’agente speciale Vogel con un sorriso volutamente falso. Poi tornò serio. “Abbiamo tutti bisogno di un mostro, dottore. Abbiamo tutti bisogno di sentirci migliori di qualcuno. (…) Io gli ho dato solo ciò che volevano.»

Affrancarsi dall’odio, dalla paura e dai preconcetti ed iniziare a porsi delle domande è l’invito di Donato Carrisi. “Ho voluto sfidare il pubblico con un thriller che parlasse di noi.” Un “noi” proteiforme andando dal pubblico, complice (“è lui che decide cosa leggere e vedere“), all’assassino.

“Ha notato che i media e l’opinione pubblica, insomma noi tutti pensiamo al colpevole di un crimine come se non fosse umano? Come se appartenesse a una razza aliena, dotata di un potere speciale: fare del male. Non ce ne accorgiamo, ma lo rendiamo …un eroe. (…) Invece, di solito il colpevole è un uomo banale, privo di slanci creativi, incapace di distinguersi nella massa. Ma se lo accettiamo così, allora dobbiamo ammettere che, in fondo, un po’ ci somiglia.”

Nella nebbia, anche mediatica che ottunde vista e mente, non c’è solo “la ragazza” (le ragazze), ma anche “l’uomo” (gli uomini) abbacinato, e quindi caduto in fallo, dal lato oscuro della luce: “perché anche la luce ne ha uno. Non tutti riescono a vederlo.”
“Il peccato più sciocco del diavolo è la vanità…..Ma in fondo che gusto c’è a essere il diavolo se non puoi farlo sapere a nessuno.”

 

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