13 Dicembre 2020

Un libro per amico_Dicembre

Pensiero dell’accademico statunitense Charles William Eliot era che i libri fossero gli amici più costanti e tranquilli,  i consiglieri più saggi e gli insegnanti più pazienti. Rivolgersi a loro, affidarsi alle loro pagine, ascoltare le loro parole rappresenta, infatti, un piacere e un sostegno. Come può anche edulcorare un tempo fatto di infodemia, di infotainment, di titoli civetta. Un tempo catabolico e anabolico, guidato da incertezza, da timore, e cadenzato da numeri, da acronimi, circoscritto da distanze, da semafori territoriali, da (scomode) classificazioni come quella tra essenziale e non essenziale.
Nonostante i numerosi detrattori, è stato decretato che i libri appartengano alla prima categoria. Godere, dunque, di questo bene è un segnale di resistenza e resilienza.

«Quindi, caro lettore, spero prima di tutto che tu ti diverta. Se poi questo libro ti aiuterà a trovare spunti per nuove e soddisfacenti visioni o ti spingerà a proseguire un percorso tutto personale di rivalutazione e scoperta anche oltre le pellicole qui presenti, sarò ancora più contento. Perché saprò di aver reso un grande servizio a te, ma prima ancora al cinema. Che a una buona lettura segua una buona visione
Drammatico, guerra, commedia, thriller, horror, noir, documentario, grottesco, muto, sperimentale, avventura, animazione, trash, azione, western. IN ORDINE di SPARIZIONE. Più di duecento film che forse non avete mai visto o che avete dimenticato (Corsiero editore) contempla tutti i generi di quella che Raffaele Mussini definisce, tra le sette arti, la più multiforme, sfaccettata, dispersiva, ricca, complessa, che s’inerpica e si contorce, che si srotola e piacevolmente si disperde nei meandri dei propri schemi, dei propri archetipi e delle proprie, apparentemente, inafferrabili varianti. Divoratore seriale di cinema sin da bambino – una necessità vitale – , lo scrittore e cinefilo reggiano presenta un curioso excursus enciclopedico di opere dimenticate, sfuggite, marginalizzate anche in nome di interessi dettati dai numeri dei box offices, non sempre specchio di qualità.
I titoli selezionati nell’immenso universo di celluloide recano scheda, sinossi e recensione, ed alcuni portano la firma anche di nomi altisonanti, ma tutti, come i personaggi dell’ironico film norvegese parafrasato dal titolo del volume, appaiono spariti.

«Non ho scritto questo libro. L’ho rubato.
Diverse estati fa, nel mio laboratorio di rue des Bernardins, ricevetti una telefonata della celebre bibliofila e collezionista di libri Beattie Ellingham. Mi chiedeva di rilegare un manoscritto, l’orgoglio della sua collezione. Non mi diede limiti di tempo o di denaro, pose soltanto una condizione (…).
La Baronessa era la più vecchia e fedele cliente, e lo era stata già per mio padre prima che io ereditassi la legatoria. Nella sua lunga vita, aveva messo assieme una delle migliori biblioteche private su Charles Baudelaire. Era molto più di una semplice collezionista. Neppure la definizione di bibliofila le rendeva del tutto giustizia. Era ossessionata dai libri.»

L’incarico di una ricca collezionista di rilegare tre testi rari. Il divieto posto al legatore di non leggerli, infranto alla morte improvvisa della donna. La scoperta dell’interconnessione fra i tre manoscritti: L’educazione di un mostro, La città fantasma e I racconti dell’albatro, rispettivamente un  racconto inedito di Baudelaire, le memorie perdute di Walter Benjamin e la confessione di una donna dalle molteplici identità. Impossibile raccontare altro dell’opera prima di Alex Landragin se non che Storia di due anime (Nord Editore) è un romanzo nel romanzo, è un geniale rompicato letterario e un esempio di virtuosismo narrativo, la cui lettura può seguire due differenti direzioni: quella tradizionale oppure quella indicata dalla Baronessa stessa e consistente in una sequenza alternativa di capitoli, iniziando, così, l’avventura da pagina 176.
Da oltre due secoli la Storia delle due anime ha visto il principio e forse non è ancora giunta al termine. Non a caso l’esergo di Attila József recita: “Se decidi di venire al mondo, vedi di nascere sette volte”.

«Virginia Woolf ha voglia di sfogarsi, di divertirsi sulle ali della fantasia quando inizia il suo nuovo libro. “Orlando: una biografia” è il titolo che butta giù d’impulso ma ovviamente, per come è fatta lei, sarà una biografia di un genere totalmente nuovo. A Londra, nella casa delle sorelle Woolf, si riunisce il Bloomsbury Group, formato da intellettuali e artisti che insieme sognano e provano a creare un mondo nuovo. Stanchi del moralismo stantio dell’epoca Vittoriana, questi giovani pensatori vogliono porre al centro di tutto la ricerca della verità e della libertà personale e intellettuale. Tutto deve essere nuovo, tutto deve essere diverso.»
È possibile soddisfare la fame di libri. Sono dotati di proprietà organolettiche, stimolando e coinvolgendo olfatto, vista e gusto, e sollecitando anche tatto e udito. Per i feticisti la lettura rappresenta, così, una vera esperienza sensoriale, un esercizio sinestesico, un appagamento totalizzante: profumo, rumore, grana ed estetica della carta, della grafica, del contenuto concorrono nell’esperire il ‘gusto’ emotivo.
La ABEditore contempera pienamente la presenza di tutti i sensi  nella sua intera produzione. Il CARTAVOLANTE ne è un esempio: un progetto che si focalizza sull’illustrazione, sull’handlettering e sul testo. Un foglio (il tatto caldamente ringrazia) 50×70 piegato in trentaduesimi che schiudendosi gradualmente svela notizie, informazioni, giochi e curiosità sui retroscena, sui personaggi, sugli autori del classici della letteratura. Un grande poster è la sorpresa dell’ultima pagina che si crea svolgendolo interamente.
In attesa di altri titoli, Moby Dick di Herman Melville, Frankenstein di Mary Shelley e Orlando di Virginia Woolf sono i Cartavolanti pronti per dare inizio alla collezione.

«E avrei potuto vederla solo lì sul ponte di pietra, una danzatrice avviluppata in un azzurro spettrale, perché da lì dovevano averla portata via quando ero piccolo, quando la terra della Virginia era ancora rossa come il mattone e rossa di vita (…) Avevo sempre evitato quel ponte, perché era imbrattato dal ricordo delle madri, degli zii e dei cugini andati verso Natchez. Ma conoscendo ora il portentoso potere della memoria, sapendo come possa aprire una porta azzurra fra un mondo e un altro, come possa spostarci dalle montagne ai prati, e sapendo, anche, che avevo dimenticato ma non avevo dimenticato, ora so che questa storia, questa Conduzione, doveva cominciare lì su quel prodigioso ponte fra la terra dei vivi e la terra degli scomparsi.»
Annoverato tra i libri dell’anno dalle maggiori testate americane e nominato tra i migliori del decennio, Il danzatore dell’acqua (Einaudi)  esprime una nuova e autorevole voce delle tematiche razziali. L’intellettuale Ta-Nehisi Coates, considerato il vero teorico del movimento Black Lives Matter, in questo potentissimo romanzo racconta, ricorrendo all’espediente della magia e del soprannaturale, la schiavitù e il viaggio verso la libertà. Il protagonista, un giovane schiavo, si scopre dotato, infatti, oltre che di una mirabile memoria, anche del potere della Conduzione che gli permette di trasportare se stesso e chiunque sia con lui da un luogo all’altro, dunque, da una condizione ad un’altra. Da schiavitù a libertà? Fisicamente, sì. Tuttavia, per gestire al meglio quel potere occorre abbracciare e introiettare la memoria individuale e collettiva del retaggio e del dolore. «Ricordare, amico. Perché è la memoria il cocchio, è la memoria la via, è la memoria il ponte fra la dannazione della schiavitù e la benedizione della libertà».
Con Il danzatore dell’acqua Coates realizza una toccante coreografia di formazione, di emancipazione e di riscatto.

«Immaginate una mattina di fine novembre. Un principio d’inverno, più di vent’anni fa. Cercate di figurarvi la cucina di una vecchia casa enorme, in un paese di campagna. Una mastodontica stufa economica nera è la caratteristica principale di questa cucina; ma ci sono anche un grande tavolo rotondo e un camino che ha davanti due sedie a dondolo. Proprio oggi il camino ha cominciato il suo ruggito stagionale.»
Un piccolo gioiello di sessanta pagine rievoca la magica atmosfera della festa più attesa dell’anno il cui simbolo principe ha il profumo e il sapore dell’infornata di trenta focacce.
È il Natale di Truman Capote fatto di attesa, di incanto, di ricerca, di preparativi e sublimato in due brevi racconti autobiografici risalenti al 1956 e al 1982 e in cui emerge il rapporto empatico con un’anziana cugina e quello inesistente con un padre latitante. Con Un Natale (Garzanti) il grande scrittore americano esprime la nostalgia, la tenerezza, la malinconia di un tempo antico spesso dimenticato.

«La leggenda dell’Ickabog era stata tramandata di generazione in generazione dai paludesi, e passando di bocca in bocca era arrivata a Chouxville. Naturalmente, come per tutte le leggende, cambiava un po’ a seconda di chi la raccontava. Tutte le versioni, comunque, concordavano sul fatto che c’era un mostro che viveva in una vasta zona acquitrinosa buia e spesso nebbiosa. (…) Qualcuno diceva che era una specie di serpente, altri che era simile a un drago e altri ancora a un lupo. Alcuni dicevano che ruggiva, altri che soffiava, altri ancora che fluttuava silenzioso. L’Ickabog, dicevano, aveva poteri straordinari. Sapeva imitare la voce umana per attirare i viandanti nelle sue grinfie. Se cercavi di ucciderlo guariva magicamente, oppure si divideva in dieci Ickabog; sapeva volare, sputare fuoco, sparare veleno: i poteri dell’Ickabog erano grandi quanto l’immaginazione di chi raccontava.»
In un cassetto da dieci anni, L’Ickabog di J. K. Rowling ha visto, poi, la luce online sui canali social (a puntate e gratuitamente) questa primavera nel tentativo di illuminare il periodo buio del lockdown. Ora è giunto nelle librerie, impreziosito dalle illustrazioni realizzate dai bambini di ogni Paese che hanno partecipato al Torneo indetto dall’autrice stessa. Trentaquattro sono i giovanissimi artisti italiani vincitori, i cui disegni figurano negli altrettanti capitoli del volume edito da Salani. Per grandi e piccoli, L’Ickabog (il significato è senza gloria) è una favola ambientata nel magico regno di Cornucopia, minacciato da un misterioso mostro. Leggenda o realtà? A due impavidi amici il compito di scoprirlo.
La vittoria del valore dell’amicizia e della gentilezza, del potere della speranza e della verità sulle sventure sono il messaggio della fiaba che risponde anche a quesiti sul significato dei mostri evocati dall’uomo e sul perché il male si impossessa di una persona.
La nuova avventura della penna di Harry Potter è disponibile, nelle librerie, anche in lingua originale, e i proventi delle vendite verranno devoluti a fondazioni benefiche di tutto il mondo che si occupano delle vittime della pandemia di Covid-19.

«“Aurelio! Aurelio!”. Mazza lo guardò con un’aria stralunata, agitata e sinistra. Ondeggiò, come incerto sul da farsi (…) Borrani, che di solito era avaro di espansioni affettive, e detestava perfino toccare il suo prossimo, lo abbracciò con forza, in una specie di morsa. “Da quanto tempo non ci vediamo!” gli disse con un’energia che voleva rintuzzare quella specie di angoscia che lo aveva preso. “Andiamo subito a farci un aperitivo, qui al Romito! C’è uno splendido tramonto!” gli disse indicando col mento il bar ristorante lì di fronte, e fingendo di non aver sospettato, forse presentito, le sue intenzioni. “Un tramonto, l’hai detta giusta” replicò con l’amarezza nella voce Mazza.»
È tornato l’avvocato Leopoldo Borrani!…
No… non esattamente. È una comparsata intermediaria. Giuseppe Benassi, avvocato e scrittore reggiano, con Tra le tue sgrinfie (Manni Editori) “utilizza” il principe del Foro livornese, protagonista seriale dei suoi romanzi, come cameo introduttivo il dramma di una vita borghese, la storia di un suo compagno di scuola. Imprenditore fallito, vittima di una interminabile sequela di disgrazie, l’ingegner Aurelio Mazza è, infatti, in procinto di compiere un gesto estremo. L’ascensore per l’inferno con personaggi ambigui e immondi, come la “zia Carmela” (scaltro usuraio e abile pittore), lo sprofonda in un mondo sordido in cui echeggiano l’arte, la musica, la letteratura, ma che potrebbe significare una salvifica risalita: perché nell’imbrunire si può sempre scorgere l’alba…

«All’improvviso l’uomo si alzò, preso da un’intuizione. Si mise a camminare nervosamente per la stanza con gli occhi che correvano veloci alla ricerca di pensieri più concreti, magari utili a trovare una soluzione. Tornò a sedersi e incise sul foglio con un solo largo gesto un segno ondulato e arricciato. Lo fissò per qualche istante, sorpreso dalla sua forma e da quell’idea così inaspettata: lei ne avrebbe capito il senso. La semplicità apparente con cui un simbolo talmente diffuso avrebbe comunicato un segreto così importante lo sconvolse. (…) Quel simbolo era la via per il dolore, un dolore che colpiva prima di tutto la mente nei suoi luoghi più oscuri, nell’inconscio. Sarebbe stato un simbolo di morte che forse avrebbe acceso una speranza.»
Cosa lega musica, scienza, medicina, storia e fisica quantistica? Un oscuro fil rouge, fatto di potere e follia, che attraversa differenti piani temporali e spaziali, andando dall’Ottocento sino al 2013 e toccando l’Italia, la Francia, la Spagna e la Germania, in cui si consumano brutali omicidi e pratiche discutibili. È il male che si annida nel cuore dell’uomo, la cui ossessione del controllo della mente lo induce a varcare il confine del lecito, a confondere quello dell’etica e della morale.
Seguire quel filo porta in superficie segreti e crimini allignanti le proprie radici nell’epoca nazista e negli sviluppi della musicoterapia, ravvisando nell’ultimo giorno di vita del più grande e virtuoso violinista della storia, Niccolò Paganini, depositario di un segreto funesto per il mondo intero, l’abbrivio e il movente di una macchinazione globale.
Con il pluripremiato romanzo d’esordio L’ultimo segreto di Paganini (Compagnia Editoriale Aliberti) Davide Lazzeri esplora il lato oscuro del musicista “dannato” tessendo, con maestria “chirurgica”, la trama di un avvincente, composito e multidisciplinare thriller storico. Amante del genere, Davide Lazzeri, specialista in Chirurgia Plastica ed Estetica a Roma, è autore di monografie sulle malattie degli artisti e nell’arte in generale. A lui la scoperta della malattia degenerativa delle mani di Michelangelo Buonarroti e della paralisi della mano destra di Leonardo Da Vinci.

«Pare che l’alcol sia stato scoperto dal genere umano 12.000 anni fa, grazie alla complicità del caso. Da allora l’uomo non ha più smesso di dare prova di ingegnosità nel tentativo di domare un fenomeno misterioso e complesso. La fermentazione, infatti, non ha nulla di casuale. Al contrario, risponde a un’infinità di leggi scientifiche che ancora oggi si continuano a indagare per meglio controllarla. In ogni bevanda si nasconde la storia di un popolo, di una regione, di un contesto sociale o economico. Ogni storia, senza eccezione, ci narra l’umanità e l’imperioso desiderio dell’uomo di trincare. Il cibo risponde ai bisogni fisici e alle voglie golose. Ma l’alcol soddisfa soltanto la seconda di queste categorie. Con un tratto aggiuntivo peculiare: l’ebbrezza. Quel senso di evasione che occorre controllare per non vacillare.»
Dall’Ouzo greco al Sidro di ghiaccio del Québec, passando  per il Kirsch della Foresta Nera, il pisco peruviano, lo Shiraz australiano, il Baiju Cinese, il Chianti Classico toscano, l’arak di Bali, il sodabi del Benin.
Appassionati di grafica e di gastronomia “liquida”, Adrien Grant Smith Bianchi e Jules Gaubert-Turpin propongono un viaggio alternativo a quello di Jules Verne. Il GIRO del MONDO in 80 BICCHIERI – Appunti di viaggio da sorseggiare, dalle birre belghe al Whisky giapponese (Slow Food Editore) è, infatti,  una “carta d’imbarco” per un giro degustativo dei cinque continenti.
80 bicchieri, 80 tappe, 80 storie, accompagnate da dettagliate cartine illustrate, ricche di informazioni, dati e curiosità, narrano i segreti delle tradizionali bevande alcoliche del mondo intero. Liquidi aromatici nati dalla creatività dell’uomo utilizzando le risorse dei differenti territori.
Il calice è, dunque, servito… Prosit!

«Il mio ruolo è stato raccontare la storia dello schiavo.
Per la storia del padrone non sono mai mancati i narratori»


Frederick Douglass
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