9 Novembre 2016

Razza. Solitudine. Rettitudine_Novembre

 

 

Se esistesse una diretta equivalenza tra l’estetica della copertina di un libro e quella del suo contenuto, Undici solitudini di Richard Yates (minimum fax) non dovrebbe meritare attenzione alcuna, benché la cucina che vi campeggia rimandi ad una determinata fotografia dell’America, quella degli anni Cinquanta, viva nella penna dell’autore. Pericolo scampato. I suoi undici tipi di solitudine sono costruiti – parafrasando il racconto Costruttori – nel rispetto dei crismi dell’edilizia letteraria. I suoi undici racconti posseggono la bellezza essenziale e minimalista del realismo americano del secondo Novecento. Di ispirazione autobiografica, i suoi sono “personaggi colti nel momento in cui la solitudine provoca in loro uno scatto: desiderio, violenza, commozione, o solo un piccolo spostamento vitale dopo il quale, probabilmente, torneranno mansueti a occupare il loro posto“. Segretarie, insegnanti, tassisti, scrittori, … tutti intenti in un corpo a corpo con il sogno americano, edificati da una prosa sagacemente impietosa.

Un’abile combinazione tra finzione e realtà, sostenuta da una puntuale capacità argomentativa frutto della “deformazione professionale” dell’autore è L’estate fredda (Einaudi). Gianrico Carofiglio, l’ex magistrato di cui ora la scrittura detiene l’esclusiva, affida un nuovo caso al maresciallo Pietro Fenoglio. Dopo l’efferato delitto di Una mutevole verità (vincitore nel 2014 del Premio Scerbanenco), è la criminalità organizzata ad imbrigliare il maresciallo, spinto ora a varcare una soglia oltre la quale la rettitudine è un tiepido ricordo. È il 1992, il tempo delle stragi di Palermo, e a Bari l’estate è fredda perché è la stagione prediletta dalla mafia, una mafia “letale e stracciona”.

Provocatorio, grottesco, feroce, caustico, lacerante, audace, difficile, folle. Un florilegio di aggettivi ha appellato lo schiavista (Fazi Editore) e il suo autore, Paul Beatty. Tutti rispondenti a verità. Una verità attuale, presente e passata, (sempiterna?). Quella dell’utopica integrazione razziale che trascende i confini americani. Vincitore del National Book Critics Circle Award 2016 e del Man Booker Prize 2016 (il più prestigioso premio letterario britannico), The sellout è una corrosiva satira sulla razza, sulla giustizia sociale e sulla condizione degli afroamericani (“Nella maggior parte dei casi i poliziotti si aspettano di essere ringraziati: sia che ti abbiano solo dato indicazioni per raggiungere l’ufficio postale, sia che ti abbiano pestato a sangue sul sedile posteriore dell’auto di pattuglia, sia che, come nel mio caso, ti abbiano tolto le manette, restituito l’erba e l’armamentario per drogarti e fornito la tradizionale penna d’oca della Corte Suprema”). La voce narrante del romanzo è quella del protagonista, Bonbon, artefice di un (in)verosimile esperimento, cascame storicistico identitario: ripristinare la segregazione razziale e la schiavitù.

 

“Westside, nigger! What?”

[lo schiavista]
Paul Beatty

 

 

Avvisi ai Naviganti