21 Dicembre 2021

Parole, parole, parole…_Dicembre

«Tutto quello che ho per difendermi è l’alfabeto; è quanto mi hanno dato al posto di un fucile», scrive il grandissimo Philip Roth.
Conoscere le parole, il loro esatto significato, equivale a scoprire, a colpire, a difendere, a persuadere, a conoscere.
La lingua può arrivare lontano e nel profondo, toccando corde sopite, dissimulate ma pronte per essere suonate.

«Fu una giornata lunghissima senza la D.
Visto che di lettere l’alfabeto ne aveva ventuno, si poteva pensare che il fatto di perderne una non avrebbe dato così tanti problemi, e invece li aveva dati (o li aveva ati, come avrebbero detto le persone attorno a lei.»

Cosa succederebbe se sparisse una lettera dell’alfabeto? La “D”, ad esempio. Se scomparisse dalle conversazioni, dai cartelli stradali e con essa anche coloro la cui connotazione di razza e di ruolo inizia con quella stessa lettera, come dalmata, come dentista…
Con D – Una storia di due mondi (La Nave di Teseo), lo scrittore olandese Michel Faber dà contezza di questo giallo alfabetico ambientato tra l’Inghilterra e Liminus, terra popolata da creature incantevoli e spaventose, seguendo due binari narrativi differenti: “QUESTO” mondo, meno pericoloso, dove si incontra la protagonista, Dhikilo, una ragazza proveniente dal Somaliland, e “QUEL” mondo, molto più pericoloso, nel quale la giovane compie un viaggio in una dimensione fantastica. Definito un romanzo dickensiano, sia per l’esaltazione del valore dell’amicizia e del coraggio di credere nei propri desideri, sia per il titolo che celebra il centocinquantesimo anniversario della morte di Dickens, tra le righe di “D” sono inseriti in suo omaggio riferimenti letterari da scoprire.

«Era solo una vana fantasia, e passò come un giorno d’aprile, ma sguardi, parole e sogni si presero il mio cuore febbrile. Dicono il tempo lenisce gli affanni. Dicono si dimentica il grande dolore; ma lacrime  e sorrisi nel corso degli anni mi torcono ancora le corde del cuore.” Quella sciocca canzone sembrava che mantenesse intatta la sua popolarità. Si sentiva cantare ancora dappertutto. Era sopravvissuta allo stesso Canto dell’Odio. Julia si svegliò, a quei suoni, si stirò le braccia voluttuosamente e scese dal letto».
1, 2, 3… 4, 5 e 6!
Tre nuove ‘epifanie’ nei CARTAVOLANTI!
Dopo Moby Dick, Frankenstein e Orlando, la collezione di queste originalissime pubblicazioni illustrate dedicate ai grandi classici della letteratura della ABEditore, si arricchisce di altri tre titoli: Jane Eyre di Charlotte Brontë, Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne e 1984 di George Orwell. Come sempre citazioni, dettagli inediti e curiosità sui personaggi e sugli autori dei romanzi si svelano gradualmente schiudendo il ‘foglio’ 50×70 caratterizzato dalla suggestione della grafica, del lettering e del materiale, ideati e realizzati da Elisabetta Stoinich e da Laura e Luisa Lodetti.
Come sempre sono “posterizzabili”, ‘manifestandosi’ in tutta la loro grandezza, terminata la lettura.
Come sempre i sensi, caldamente, ringraziano

«Marbella era una magra monella con una chioma voluminosa e malinconici occhi marroni. Un malaugurato martedì o mercoledì, quand’era una minuscola marmocchia, un mulinante e micidiale vento di maestrale aveva menato mille miglia lontano, per una maligna malia, i suoi magnanimi e meritevoli genitori, la mamma modista e il mite papà macellaio.»
Dalla raffinata penna della grande scrittrice canadese, autrice de Il Racconto dell’ancella, Margaret Atwood, nasce un libro dedicato ai più piccoli. In Tric Trac Trio (Salani) sono lontane le cupe e distopiche atmosfere dei suoi romanzi, sostituite ora da divertenti capriole linguistiche, da girotondi di figure retoriche che, grazie alle avventure della monella Marbella, del bizzarro Bob, della derelitta Dorinda e del rude Ramiro, permettono di giocare con le lettere ed i loro suoni. Una fantasiosa opera polifonica, illustrata da Dusan Petricic, per comprendere il “musicale” significato delle parole.

«“Non ricordi il nostro patto?” chiese il diavolo. “Ora ti ucciderò.”
“Almeno fammi prima finire di cucinar la zuppa”, disse l’uomo. “Va bene, fai pure”, rispose il diavolo
E si sedette ad aspettare».

La serie delle Fiabe Nordiche di Iperborea – casa editrice specializzata nella letteratura nord-europea – si arricchisce di un nuovo titolo: Fiabe finlandesi. Crocevia di folklore occidentale, di folklore russo, di mitologia finnica, e dalla siderale scenografia fatta di laghi, foreste, isole, ghiaccio e neve, la terra finlandese è un ondivagare di spiriti, di divinità, di sciamani depositari dei segreti della natura e di animali parlanti e dispettosi, di personaggi alla ricerca di qualcuno o di qualcosa – anche della via della felicità – . Una nuova antologia che, anche grazie alla trascrizione a metà Ottocento di Eero Salmelainen, viene ora tradotta da Giorgia Ferrari e Sanna Maria Martini, e che, con ironia e schiettezza, narra la cultura popolare finlandese.

«Un’altra candela si affievolì, sul punto di estinguersi. Trasalì. Inspiegabilmente, il pensiero di rimanere lì, solo davanti al fuoco guizzante, gli risultò insopportabile. Afferrò convulso lo stelo del candelabro e imboccò il corridoio; e anche se gli si aggricciò la pelle tra le scapole, non si concesse di guardarsi indietro.»
Che Natale sarebbe senza spiriti e fantasmi? Charles Dickens docet.
Anche se di altra natura e provenienza, quelli immaginati da Bridget Collins, Imogen Hermes Gowar, Kiran Millwood Hargrave, Andrew Michael Hurley, Jess Kidd, Elizabeth Macneal, Natasha Pulley e da Laura Purcell altrettanto comodamente si calano nel periodo prossimo, foriero di atmosfere magiche e surreali, parte del folklore natalizio. Natale con i fantasmi (Neri Pozza Editore) propone otto racconti – Uno studio in bianco e nero, L’inquilina di casa Thwaite, La sedia di Chillingham, Lily Wilt, Isolamento, Sempreverdi di Natale, I cantori delle anguille, Mostro – scritti da altrettanti maestri del genere gotico, in cui ossessioni, enigmi, fughe e presagi popolano case spettrali “addobbate a festa” in stile vittoriano.

«Non ho mai nascosto la mia passione per frutta e verdura. Canto le lodi di cavolfiori, pomodori, limoni e della mia vecchia amica melanzana da oltre un decennio. Presentare le verdure in modi nuovi e interessanti è diventata la mia missione. Eppure un piccolo ma persistente dubbio continua ad assillarmi. Quanti altri modi ci sono per friggere una melanzana, di affettare un pomodoro, di spremere un limone, o di arrostire un cavolfiore? La risposta, sono felice di poter dire, è: molti.»
Terza tappa del viaggio di scoperta nel mondo dei vegetali, Flavour (Giunti) è il nuovo libro dello chef di origini israeliane Yotam Ottolenghi, realizzato insieme con Tara Wigley e Ixta Belfrage. Seguendo un approccio rivoluzionario alla cucina delle verdure che prevede un’attenta analisi di tre fasi – Processi, Abbinamento, Prodotti – Ottolenghi crea ricette facili da realizzare ma dal potente impatto e sempre in ossequio alla creatività e alla multiculturalità. Sono tante le “bombe di sapore” realizzabili con i 20 ingredienti da lui amati e lavorati per esaltarne al massimo il gusto attraverso accostamenti studiati ad hoc.

«Era quasi tenero il modo in cui si preoccupavano per me.
“Com’è pallida” ha detto l’infermiera. “Deve stare tranquilla finché non riprende il colorito.”
“Il mio colorito è questo” ho detto io. “Perché una volta era di pietra.”
La donna ha accennato un sorriso e ha tirato su la coperta. Mio marito l’aveva avvertita che ero un po’ estrosa, che la malattia mi portava a dire cose che le sarebbero sembrate bizzarre.»

La mitologia è una potente fonte metaforica da cui attingere riflessioni.Quella suggerita da Madeline Miller, attraverso la rivisitazione in chiave moderna del mito greco di Pigmalione e di Galatea – la statua resa viva dalla dea Afrodite in uno slancio di benevolenza verso il suo plasmatore – riguarda il ruolo della donna, la sua libertà, la sua autodeterminazione, in una società – patriarcale e maschilista – incapace o nolente al cambiamento. Con il retelling Galatea (Sonzogno) la scrittrice statunitense intavola un dialogo tra antichità e attualità, tra classicità e modernità, impreziosito dalle pervasive illustrazioni sui toni del rosa e del nero di Ambra Garlaschelli.

«Vorrei che tutti potessero ascoltare il canto delle coturnici al sorgere del sole, vedere i caprioli sui pascoli in primavera, i larici arrossati dall’autunno sui cigli delle rocce, il guizzare dei pesci tra le acque chiare dei torrenti e le api raccogliere il nettare dai ciliegi in fiore. In questi racconti scrivo di luoghi paesani, di ambienti naturali ancora vivibili, di quei meravigliosi insetti sociali che sono le api, ma anche di lavori antichi che lentamente e inesorabilmente stanno scomparendo. Almeno qui, nel mondo occidentale.»
È un’accezione lata della Natura, espressa in tutta la sua purezza e obiettività, quella illustrata da Mario Rigoni Stern in Uomini, boschi e api. In questa raccolta di racconti del 1980, cadenzata dallo scorrere delle stagioni, la narrazione si declina in storie di montagna dove tutto ha un valore, in storie di animali selvatici, in storie in cui l’equilibrio “naturale” è distrutto – siamo nel 1980! – perché assoggettato ai bisogni di uno dei suoi elementi – l’uomo – nonostante tutti godano della medesima parità all’interno dell’insieme naturale. Ma sono soprattutto storie di «cose di cui ancora si può godere purché si abbia desiderio di vita, di volontà di camminare e di pazienza di osservare.»
Nell’ultima edizione Einaudi la prefazione è firmata da Erri De Luca che con l’autore di Asiago condivide un sentire “valoriale”:
«Amo gli scrittori di arie aperte, Cervantes, Conrad, London. Mario Rigoni Stern è iscritto a questo mio albo personale».

«Chiamo il nostro mondo Flatlandia, non perché sia il nome che usiamo noi, ma per rendere più chiara la sua natura a voi, mie beati lettori, che avete il privilegio di vivere nello Spazio. Immaginate un enorme foglio di carta in cui Linee Rette, Triangoli, Quadrati, Pentagoni, Esagoni e altre figure, invece di restare ferme ai loro posti, si muovano liberamente per tutta la superficie,  senza però avere il potere di elevarsi al di sopra di essa o sconfinarne al di sotto, un po’ come delle  ombre, ma ben evidenti e dai contorni chiari. Allora avrete un’idea abbastanza esatta  di quello che sono il mio paese e i miei compatrioti. Alcuni anni fa, ahimè, avrei detto “il mio universo”: ma ora la mia mente si è aperta a una visione più elevata delle cose.»
Geniale, unico e attuale, FLATLANDIA – Un’avventura di molte dimensioni (Bollati Boringhieri) è un racconto matematico scritto dal teologo e pedagogo Edwin A. Abbott nel 1884 (aggiungendo un secolo si arriva al 1984 orwelliano, in parte affine a questa storia) e divenuta una lettura imprescindibile per gli studenti di matematica. La voce narrante appartiene ad un Quadrato che vive in un mondo bidimensionale dove la società si fonda su di una rigida gerarchia sociale “estetica”: più lati si posseggono più elevato è il ceto di appartenenza.
Reiette, apparentemente “semplici linee rette”, ma molto pericolose, le donne si trovano nel gradino inferiore.
L’ascesa sociale è apparentemente prevista, nonostante in realtà la casta dominante miri a mantenere invariato il proprio potere.
L’incontro del Quadrato con una Sfera lo apre alla Terza Dimensione, il Regno di Spacelandia, e forse alla possibilità di altri regni multidimensionali. Testo sulla libertà e l’importanza della conoscenza, Flatlandia è anche un’acuta satira e critica alla società vittoriana, con le sue rigide convenzioni sociali.

«In fondo alla stanza i due intravidero un’enorme cesta di vimini. Era grande come un letto, tanto da poter ospitare il riposo di un adulto. Era leggermente socchiusa. Martin Adler notò alcuni movimenti. Lo stesso fece Bronsky. Entrambi, levata la sicura ai loro mitragliatori, avevano il dito indice della mano destra pronto a premere il grilletto. Da quella cesta provenivano sospiri che sembravano quelli di un uomo. “Se fosse un cecchino tedesco?” pensò Martin. Un solo piccolo movimento di due dita separava la quiete dal frastuono, la pace dalla guerra, la vita dalla morte. I due soldati americani erano pronti a far fuoco. Non si sarebbero lasciati cogliere di sorpresa da un nemico nascosto in quella cesta e pronto anche lui a uccidere. Sette mesi di fronte, avevano ormai insegnato a quei due ragazzi che esitare era solo un buon viatico per finire sotto mezzo metro di terra. All’improvviso l’urlo di una donna spezzò il silenzio. Si avvicinò rapidamente ai due soldati: «Bambini! Bambini!”. La cesta si aprì. Sbucarono tre paia di occhi vispi e stralunati».
Americano, originario del Bronx, figlio di immigrati ebrei ungheresi, Martin Adler, giovanissimo, si arruola per combattere il nazifascismo in Europa. Amante della fotografia, tanti sono gli scatti della sua 35 millimetri esorcizzanti l’orrore della guerra, ma quello che lo ritrae insieme con tre bambini in un giorno di ottobre del 1944 a Monterenzio, sull’Appennino Bolognese, è segnato da un inaspettato destino.
“Sarto di storie disperse nel tempo”, il giornalista e scrittore Matteo Incerti nel dicembre del 2020 intercetta in rete quella fotografia come oggetto di un accorato appello: quello di Martin Adler, ormai 97enne, desideroso di ritrovare quegli occhi vispi e stralunati mai dimenticati.
Nasce così I bambini del soldato Martin (Corsiero), un diario di guerra che si trasforma in una favola di Natale. A dicembre 2020, infatti, il primo incontro virtuale, in videochiamata, tra il veterano e i fratelli Nardi, Bruno, Mafalda e Giuliana.
Il primo incontro reale: a Bologna nell’agosto 2021.

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