«Quando eravamo nuove, Rosa e io stavamo a metà-negozio e vedevamo più di mezza vetrina. Perciò potevamo guardare fuori. Dopo un periodo di assestamento, Direttrice ci permise di spostarci direttamente dietro la vetrina. E se ci trovavamo lí all’ora giusta, vedevamo il Sole in cammino attraversare le cime degli edifici. Quando avevo la fortuna di vederlo così, sporgevo avanti la faccia per assorbire il massimo del nutrimento. AA M Rex che stava accanto a noi allora ci disse di non preoccuparci, che il Sole trovava sempre un modo per raggiungerci ovunque fossimo. Indicò le assi del pavimento e disse: – Il disegno per terra è quello del Sole. Anziché preoccuparvi, basta che lo tocchiate per recuperare le forze».
È Klara che parla. La sua voce è infantile, empatica e ingenua. Il desiderio di fare amicizia per il quale è nata viene esaudito incontrando Josie, una ragazzina di quattordici anni.
Klara è uno degli AA, Amici Artificiali – sofisticati umanoidi di generazione B2 – ad alimentazione solare e dalle fattezze anagrafiche di coloro che diverranno i loro “padroni”.
Sono, infatti, oggetti d’acquisto da parte dei genitori per tenere compagnia, proteggere e guidare i propri figli. In un’America distopica, virante nel fantascientifico, il premio Nobel per la Letteratura nel 2017 Kazuo Ishiguro con Klara e il Sole (Einaudi) ambienta una malinconica riflessione sull’umanità, sulla condizione umana, sul suo futuro , sulle conseguenze dello sviluppo tecnologico sull’uomo, ritornando così ai temi della tecnologia e dell’intelligenza artificiale presenti in Non lasciarmi.
Parlando per voce di Klara – voce narrante in una lingua che nella limpidezza e nella semplicità ha il suo punto di forza – Ishiguro scandaglia nel profondo le emozioni umane domandandosi cosa significhi essere umano e tentando di rispondere attraverso ciò che umano non è.
«Dopo decenni di comunità con le piante, mi sembra di percepirne la presenza non solo in ogni luogo del nostro pianeta ma anche nelle storie di ognuno di noi.
All’inizio credevo che una particolare percezione del mondo vegetale fosse normale conseguenza della mia simpatia per questi esseri silenziosi. (…) Ma le piante sono letteralmente dappertutto e per scriverne non si deve far altro che ascoltare le loro storie e raccontarle. È così che è nato questo libro, scrivendo storie di piante che intrecciandosi agli avvenimenti umani si legano le une alle altre nella narrazione della vita sulla Terra. Perché le piante costituiscono la nervatura, la mappa (o pianta) sulla base della quale è costruito l’intero mondo in cui viviamo. Non vederla, o ancora peggio ignorarla, credendo di essere al di sopra della natura, è uno dei pericoli più gravi per la sopravvivenza della nostra specie.»
Il fatto che l’85% della biomassa della Terra sia rappresentato dal verde mentre lo 0,3% da esseri animali sottolinea la stolidità e la protervia umana nel comportarsi quale specie superiore al mondo.
Nell’affascinante saggio scientifico e, in parte, autobiografico La pianta del mondo (Laterza Editore) l’illustre neurobiologo vegetale Stefano Mancuso, con ironia, sorriso ma anche con la consapevolezza di un’irreparabilità prossima, racconta della protagonista indiscussa del Pianeta che naturalmente è presente in qualsiasi ambito: dalla costruzione delle città a quella degli strumenti musicali, dalla datazione archeologica ai viaggi spaziali, dal senso dell’idea di comunità sino alla Rivoluzione Francese.
La pianta della libertà, della città, del sottosuolo, della musica, del tempo, della conoscenza, del crimine e della luna, sono gli otto capitoli, arricchiti da illustrazioni di Mancuso stesso, che riportano storie e aneddoti, anche curiosi – come quello sulla botanica criminale – di questi esseri ubiqui e silenti.