19 Maggio 2017

Dediche. Epigrafi. Copertine_Maggio

 

 

com’è che ti viene così facile
esser buona con la gente chiese lui

latte e miele stillarono
dalle mie labbra mentre rispondevo

perché la gente non è
stata buona con me

 

Uno scialle nero che si schiude e un filo di fumo che si leva…
Maria Listru è la “quarta”, “l’ultima” della sua famiglia ed è abituata a sentirsi invisibile, a concepirsi come un’insignificanza quando diviene fill’e anima di Tzia Bonaria Urrai, la sarta di Serini abile nel prendere le misure delle persone ed altrettanto capace nell’accogliere quella bambina nella propria vita incaricando, con lucida sensibilità, gli spazi vuoti della casa di vestirla naturalmente senza forzatura alcuna.
I fill’e anima sono i bambini generati due volte: dalla povertà di una donna e dalla sterilità dell’altra. Tzia Bonaria, il cui “ventre non si è mai aperto” pur desiderandolo, ha imparato tuttavia a fare la sua parte. Anch’essa è “l’ultima”. “L’ultima madre che alcuni vedono”.
Fine vita, dolce morte, eutanasia, testamento biologico … Accabadora, ossia colei che finisce. Colei che accompagna a compimento i destini (parzialmente) scelti dalle persone.
In una Sardegna anni Cinquanta tra superstizioni, malefici, prefiche e attittadore, Michela Murgia ambienta questo romanzo semiautobiografico (essa stessa è una fill’e anima) indagando la condizione della maternità elettiva, dei rapporti parentali e toccando controversi e delicati temi attuali con discreta distanza.
“A mia madre. A tutte e due”, è la dedica di Accabadora (Einaudi).
Piace pensare che sia leggibile in una duplice chiave.

Che appagante meraviglia le corrispondenze, come quelle tra la copertina di un libro e il suo contenuto. Che potenza (talvolta misteriosa e intelligibile) gli eserghi. Che empatica commozione le dediche.
Del dirsi addio (Einaudi) di Marcello Fois ha una veste splendida, una dedica condivisibile e quattro suggestive epigrafi ognuna dedicata ai quattro elementi che titolano i capitoli di cui il romanzo è composto: terra, fuoco, acqua e aria.
Dopo la saga dei Chironi l’autore sardo si sposta al Nord e torna al genere noir raccontando, nella sua prosa sofisticata e suggestiva,…principalmente l’umanità. Un’umanità in tutte le sue declinazioni possibili, in ombra e illuminate. L’occasione è l’indagine del commissario Striggio sulla scomparsa di un bambino.
Bologna e Bolzano, andata e ritorno. Adolescenza e adultità, andata e ritorno.
Un viaggio introspettivo e analitico per scoprire che “non tutte le luci fanno chiarezza. Nel regno dell’aria questo è un principio assodato: non troppo buio che sottrae, non troppa luce che moltiplica”.
[In occasione dell’uscita del sua ultima fatica, Marcello Fois sarà presente al Salone del Libro di Torino domani 20 maggio alle ore 12:00 nella Sala Rossa.]

“per le braccia che mi stringono”
Il potere della parola, si sa, è cosa acclarata anche già dal famoso adagio biblico “ferisce più la lingua della spada”.
Le sue parole d’amore, di dolore, di perdita e di rinascita, prima di assumere corpo cartaceo assurgendo alla dimensione editoriale e scalando le vette della classifica del New York Times, erano già un “fenomeno” su instagram. Le liriche ermetiche, simili agli Haiku giapponesi, dell’artista indo-canadese Rupi Kaur rispondono all’urgenza del suo giovanissimo cuore di intraprendere un viaggio della sopravvivenza attraverso la poesia:
“questo è il sangue sudore lacrime
di ventun anni
questo è il mio cuore
nelle tue mani
questo è
il ferire
l’amare
lo spezzare
il guarire”
Quattro sono i capitoli intitolati da queste quattro azioni sperimentate sulla propria pelle dall’autrice cresciuta in una cultura retriva e violenta, accompagnati da illustrazioni minimaliste, stilizzate ed esplicite.
milk anf honey (tre60) – nessuna maiuscola, nessun segno di interpunzione nella raccolta delle liriche – è, dunque, un viaggio personale e terapeutico in cui facile è l’identificazione di tante donne, giovani e non, e che forse per la connotazione talvolta un po’ naïf agevola l’incontro del pubblico con la poesia iniziando i giovani ad approcciarsi al genere.

 

“Non dire mai:  di quest’acqua io non ne bevo.
Potresti trovarti nella tinozza senza manco sapere come ci sei entrata.”

[Accabadora]
Michela Murgia

 

 

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