“In ogni caso, avevamo fame. anzi, per l’esattezza, ci sembrava di aver inghiottito il vuoto cosmico, quella era la sensazione. (…) Dio era morto, al pari di Marx e di John Lennon. E noi eravamo famelici. Il risultato fu che decidemmo di compiere un reato. Non era la fame a spingerci a fare il male, no. Il male si trasformava in bisogno di cibo per istigarci a delinquere. Non me ne intendo molto, ma era qualcosa vicino all’esistenzialismo.”
Così ha scritto Haruki Murakami negli anni Ottanta e così la casa editrice Einaudi, nell’intento di riscoprire le prime inedite produzioni dell’autore giapponese, ha ora deciso di pubblicare la nuova ermetica raccolta di racconti. Due sono, infatti, Gli assalti alle panetterie. Ci sono dei rapinatori iperfagici; un panettiere melomane; la contraddizione della prossimità tra croissant e krapfen; c’è un reato annunciato, raccontato poi reiterato; ci sono sei lattine di birra e le note di Wagner. C’è una fame cosmica dal riverbero ontologico e ci sono già quella bellezza e quella sensibilità un po’ “frigide” e indecifrabili, ma al contempo profonde, grazie alle quali le percezioni guidano la lettura.
“Non è nella cosa in sé, ma nei gradi d’ombra e nei prodotti del chiaroscuro che risiede la beltà” scriveva Junichirō Tanizaki in Libro d’ombra. E in quei chiaroscuri criptici, visionari e onirici (benché ancora in nuce) risiede il fascino della prosa di Murakami. Gli interrogativi sono banditi e le spiegazioni pleonastiche anche nell’assoluto, ma fugace, baluginio che l’edizione difetti dell’ultima pagina (vedi Sonno). Dopo Sonno, del 2014, e dopo La strana biblioteca, del 2015, illustrati rispettivamente da Kat Menschik e da Lorenzo Ceccotti, anche Gli assalti alle panetterie è impreziosito dall’interpretazione cupa di Igort, Igor Tuveri, celebre fumettista italiano.
È sempre la condizione umana la protagonista, con un prima e con un dopo quella tempesta di sabbia in Kafka sulla spiaggia in cui il vento cambia direzione conformandosi all’andatura di colui che vi è entrato (ignorando di esserne parte) per poi uscirne dopo averla attraversata, stupito di esservi sopravvissuto, ma profondamente cambiato.
Scritto idealmente quand’era bambino, essendo una storia che appartiene all’autore quanto i suoi stessi ricordi, Le otto montagne (Einaudi) è divenuto “uno straordinario caso internazionale in traduzione in tutto il mondo”, come recita la fascetta che lo avvolge. In traduzione nonostante la lingua di Paolo Cognetti sia quella piana e universale della formazione alla vita. Il vero mentore è la “montagna”, con le sue luci e le sue ombre, un’indelebile forma mentis, un modo d’essere, che segna ogni passo e respiro.
“Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa“, scrive Cognetti. Otto sono quelle che guidano Pietro, ragazzino di città, solitario e malmostoso, nel suo viaggio iniziatico all’amicizia e alla scoperta.
Se per il Grinch l’anima del Natale risiede nel materialismo, secondo Ebenezer Scrooge è una festa senza ragione d’esistere, è un’ “humbug“, una fesseria. Non ha bisogno di presentazioni Un canto di Natale (A Christmas Carol) di Charles Dickens (edizione Marsilio con testo a fronte). Scritta nel 1843, la favola allegorica e satira sociale che racconta della redenzione dell’arcigno e gretto Scrooge, della sua trasfigurazione da misantropo a filantropo, attraverso le incursioni dei tre fantasmi del Natale (Passato, Presente e Futuro) si offre sempre con potente attualità. Perché sempre e ovunque vi sarà sperequazione economica e sociale, vi sarà il mr. Ebenezer Scrooge di turno accecato dall’ingordigia, dall’avarizia e dall’egoismo, e vi sarà, talvolta, qualche salvifico ravvedimento per scampare all’aridità e alla solitudine interiori.
“I have endeavoured in this Ghostly little book, to raise the Ghost of an Idea,
which shall not put my readers out of humour with themselves, with each other,
with the season, or with me.
May it haunt their houses pleasantly, and no one wish to lay it.
Their faithful Friend and Servant
C. D.
December 1843″
“In questo piccolo libro di spiriti ho cercato di evocare lo spirito di un’idea,
che non porterà malumore ai miei lettori né verso se stessi, né l’uno verso l’altro,
né verso il periodo dell’anno, e neanche verso di me.
Che esso possa visitare con piacevolezza le loro case, e che nessuno si auguri di esorcizzarlo.
Il loro fedele e umile amico
C.D.
Dicembre 1843″
[Prefazione di Un canto di Natale]
Charles Dickens