Ovvero: Gene, il bastardo.
«- Ecco perché sono qui. Voglio che questa storia finisca.
– Stai parlando della nostra storia, osservò Louis.
– Sto parlando di te che ti intrufoli di notte in casa di mia madre.
– Non si sta intrufolando, replicò Addie.
– Già. Non vi vergognate neppure.
– Non c’è nulla di cui vergognarsi.
– Gente della vostra età che si vede di notte, come fare voi.
– È molto piacevole. Spero che tu e Beverly abbiate avuto dei momenti belli come quelli che passiamo io e Louis.
– Cosa direbbe papà al posto mio?
– Preferirebbe evitare di parlarne. Ma dubito che avrebbe approvato. È una cosa che lui non avrebbe fatto, anche se gli fosse venuta in mente.
– No, non avrebbe approvato. Aveva più giudizio, un’idea più precisa della sua reputazione.
– Oh, Gesù. Ho settant’anni. Non mi importa di quello che pensa la gente. (…)»
Può l’egoismo, quello ottuso e protervo, riversato da un figlio (retrivo? maschilista? perbenista?) sulla madre, settantenne, vedova, che mai si è risparmiata per il suo bene, amorevolmente impegnata anche per la serenità e l’equilibrio del nipote, sabotare, attraverso ricatti morali e sentimentali, un’appagante felicità scorta dal genitore nella voce e nella prossimità fisica di un suo coetaneo, gestita con estrema e limpida semplicità e poesia?
Può. Gene, il bastardo, può.
Kent Haruf con Le nostre anime di notte non soltanto accompagna il lettore nelle notti che i due protagonisti decidono di attraversare insieme addentrandosi negli anfratti della memoria di una vita. Nell’ascolto di queste anime che popolano la contea di Holt, in questo suo personale commiato dalla vita e dalla letteratura, il lirismo e la levità – la cui urgenza è commisurata all’avanzare dell’età – cozzano fragorosamente con la prepotenza dell’animo filiale.
«– Cristo, Addie. Non posso accettarlo. Non è da te.
– Non posso farci niente. È per la mia famiglia.
– Lascia che sia io la tua famiglia.
– E poi quando muori cosa succede?
– A quel punto puoi andare a vivere con Gene e Jamie.
– Non posso aspettare di essere troppo vecchia. Non riuscirei più a cambiare, o magari non avrei più la – possibilità di farlo. Ora devi andare. E ti prego di non venire più. È troppo difficile.
– Lui si chinò, le diede un bacio sulla bocca e uno sugli occhi, poi uscì dalla stanza e percorse tutto il corridoio. In ascensore c’era una donna, a un tratto lo guardò in faccia e distolse la vista.»
Le nostre anime di notte (NN Editore)
Kent Haruf, Pueblo, 24 febbraio 1943 ~ Salida, 30 novembre 2014